venerdì 20 maggio 2016

Ceri. Gli affreschi medievali nella chiesa dell'Immacolata Concezione




 

   Percorrendo la via Aurelia, l'antica strada consolare, tracciata a partire dal III sec. a.C. allo scopo di collegare Roma a Cerveteri, è difficile non pensare agli antichi etruschi e alle testimonianze archeologiche di cui è ricca l'area.
Lungo il suo percorso, però, si ha la possibilità di scoprire luoghi le cui storie, pur affondando le radici in un passato remoto ed affascinante, si snodano attraverso i secoli con i loro bagagli carichi di eventi e leggende.
E' lungo questo cammino, a pochi chilometri da Cerveteri, che s'incontra il bivio che conduce a Ceri, borgo medievale arroccato su uno scenografico sperone tufaceo che guarda verso la valle Sanguinara.
Sorto come piccolo insediamento etrusco dipendente da Cerveteri (Caere vetus), la storia di Ceri è legata a doppio filo alla sua più nota vicina. Nell' XI sec., infatti, a causa della diffusione della malaria e delle scorribande saracene, per i cerveterani si rese necessario un trasferimento in un sito più salubre e strategicamente difendibile: la scelta cadde su questa piccola altura, già sede di un precedente stanziamento, a cui fu dato il nome di Caere nova, l'attuale Ceri.
Una targa marmorea, posta sulla porta dell'ingresso al borgo, ricorda l'avvicendarsi delle famiglie nobili che si alternarono nei secoli alla guida del sito, in un susseguirsi tra Normanni, Bonaventura di Trastevere, Orsini d'Anguillara, Cesi, Borromeo e Serra, per concludersi con l'acquisto effettuata da Alessandro Torlonia nel 1883.
 
 
Arco d'ingresso al borgo di Ceri

Particolare della targa sull'arco d'ingresso apposta da Alessandro Torlonia
                         
Addentrandosi per le stradine di questo piccolo borgo è possibile scoprire le tracce del suo passato attraverso gli stemmi delle famiglie che qui ebbero il proprio dominio, il suo castello, riammodernato nel XIX sec. da Alessandro Torlonia arricchito di un giardino panoramico e la chiesa dell'Immacolata Concezione.
Il santuario, posto nel punto più alto del borgo, rappresenta uno dei luoghi più interessanti di Ceri, sia dal punto di vista storico, sia per un'eccezionale e inaspettata scoperta compiuta al suo interno in occasione di lavori di consolidamento resisi necessari negli anni settanta.
Edificato probabilmente intorno all'XI sec., forse per soddisfare le esigenze di culto della comunità qui trasferitasi da Cerveteri, l'edificio, secondo alcuni poteva essere inizialmente intitolato al papa martire Felice II, il cui martirio si sarebbe consumato fra la via Aurelia e la Portuense nel IV sec. e di cui sono qui conservate le reliquie custodite in un ciborio risalente al 1484.
Le vicende  di cui Ceri fu protagonista, suo malgrado, costituiscono uno degli elementi che hanno contribuito a preservare un tassello importante della sua storia rappresentati dagli affreschi medievali riemersi in maniera fortuita sulla parete destra della navata centrale della chiesa dell'Immacolata.
 
 
Facciata della chiesa dell' Immacolata Concezione
 
Correva l'anno 1503 quando Ceri, allora dominio degli Orsini, subiva un assedio, durato più di un mese, ad opera di Cesare Borgia, che sottoponendo il borgo a violenti e devastanti bombardamenti contribuiva alla sua quasi totale distruzione, che non risparmiò il santuario in cui si riportarono gravi danni strutturali con il completo danneggiamento della parete sinistra della navata centrale. Ricostruita dopo l'assedio seguendo un orientamento stilistico rinascimentale, a cui seguirono altri interventi nel corso dei secoli, le tracce del primitivo impianto medievale sembravano ormai perdute, fino a quando nel corso di interventi di restauro avvenuti nel XX sec., furono riportato alla luce affreschi,  realizzati probabilmente tra il 1100 ed il 1130 su commissione del vescovo di Ostia, Pietro da Porto, e nascosti per centinaia di anni da un muro di 50 cm di spessore anteposto all'originale parete destra.
 
 
Interno della navata centrale con particolare
della pavimentazione medievale

Sui quattro registri sovrapposti, che snodandosi dall'abside arrivano fino alla parete di controfacciata, è possibile leggere, a partire dal livello superiore, le storie della Genesi, che sviluppandosi in 16 riquadri, incorniciati da raffinate fasce decorative a motivi vegetali stilizzati di color porpora, accompagnano l'osservatore  dal momento della Creazione, passando attraverso la cacciata dall'Eden,  l'Arca di Noè e le storie di Giuseppe e Mosè, il tutto reso con una particolare cura per i dettegli scenografici ed architettonici oltre ad  un' attenta realizzazione ravvisabile finanche nella resa dei  ricchi tessuti che ammantano alcuni dei personaggi eminenti.  
 
 
Affreschi sulla parete destra della navata
 
 
Secondo registro. Giuseppe gettato nella cisterna dai fratelli

 
Secondo registro. Scena di Giuseppe e la moglie di Putifarre
                           
Al di sotto dei due registri veterotestamentari, ai lati delle arcate che aprono sulla navata secondaria, quattro scene di santi richiamano ad una tradizione iconografica che rimanda non solo alla vicina Roma ma anche all'affermazione di culti e leggende provenienti da terre remote.
Nei pressi dell'abside, la rappresentazione di San Giorgio nell'atto di uccidere il drago richiama un culto inizialmente seguito in Oriente, di cui restano remote tracce in Cappadocia e Georgia e che solo nel VII sec. trova menzione a Roma. Mostrato sul cavallo al galoppo, nell'istante in cui colpisce il drago- parzialmente mutilo- questa di Ceri si presenta come una delle prime riproduzioni conosciute in Italia del santo guerriero, insieme alla scena riprodotta nella lunetta di San Giorgio in Vigoleno risalente al 1130 circa.
 
 
Terzo registro. San Giorgio che uccide il drago
 
A questo riquadro segue una scena in cui sono rappresentati cinque santi. Accanto a San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, anche qui compaiono santi estranei al contesto locale quali San Nicola di Myra, il cui culto era particolarmente vivo in Oriente, e i due santi d'oltralpe , San Martino di Tour e San Leonardo da Noblac.
 
 
Terzo registro. S. Nicola di Myra, S.Giovanni Evangelista, S.Giovanni Battista,
S.Martino di Tours, S. Leonardo di Noblac
 
Gli ultimi due pilastri, sono decorati con le scene più interessanti del terzo registro. La crocefissione di San Andrea, oggi mutila per l'assenza del personaggio principale, precede l'episodio della sconfitta del drago da parte di San Silvestro. Il racconto riporta alla piena tradizione romana e alle leggende sulla vita del santo. Presentato nell'atto di affrontare e sconfiggere un drago- simbolo del male- che con i suoi vapori pestilenziali era apportatore di morte fra i cittadini romani, papa Silvestro si erge quale campione della cristianità e simbolo di quel potere che discende direttamente da Cristo attraverso i santi  Pietro e Paolo e quale tramite per svelare la mistificazione dei culti pagani, qui rappresentati dai sacerdoti dei templi romani sconfitti dalla vera fede.
 
 
Papa Silvestro nell'atto di uccidere il drago
 
A conclusione della decorazione di questa parete, nella parte inferiore, si conservano ancora tre scene, direttamente ricollegabili ai corrispondenti riquadri soprastanti. La loro qualità pittorica si discosta dagli episodi superiori, ma non per questo appaiono meno interessanti. Una scena di cucina, dove un cuoco è impegnato nella preparazione di piatti a base di carne, fa da pendant al gruppo di cinque santi, quasi a contrapporre il concetto di Eucarestia, sottolineato dall'Agnello fra le braccia di San Giovanni Battista, al perseguimento di tentazioni materiali, qui simboleggiati dalla carne di maiale.
 
 
Zoccolo inferiore. Scena di cucina
 
Una lotta fra demoni che si contendono un uomo è l'immagine che appare al di sotto della crocefissione di San Andrea. Sebbene molto deteriorata, la scena richiamerebbe per antitesi al trionfo del santo sulla morte a cui invece soggiace l'uomo torturato, identificato come il proconsole Egeate, individuo violento e schiavo delle sue passioni, responsabile della crocefissione di San Andrea.
 
 
Zoccolo inferiore. Lotta fra demoni

Una chimera, realizzata al di sotto della scena di San Silvestro chiude la decorazione dello zoccolo, ulteriore richiamo alla lotta contro il male identificato dalla mitica bestia.
Osservando l'estensione della decorazione superstite di Ceri, di cui restano labili tracce anche sulla parete absidale e sulla controfacciata, è facile supporre che in origine gli interni fossero completamente affrescati, inserendosi in un panorama artistico che avvicina la piccola chiesa ceretana ai più noti cantieri romani quali la chiesa inferiore di San Clemente, ad essa vicina per stile pittorico,  al perduto ciclo veterotestamentario di San Paolo fuori le mura, con cui condivideva scelte e riferimenti iconografici e narrativi, ed ancora con le decorazioni di San Pietro in Tuscania e di San Giovanni a Porta Latina. Un episodio quindi pienamente inserito nel quadro della riforma gregoriana, con il suo recupero di simboli e il ribadire, attraverso gli schemi narrativi, il primato della cristianità su qualsiasi altro culto.
Oggi la chiesa è visitabile ed al suo interno si ha la possibilità di ammirare sia gli affreschi medievali sia di scoprire le altre ricchezze qui custodite e le storie ad essa legate, accompagnati dai volontari del M.A.S.C.I.  nella scoperta di questo piccolo tesoro.

Targa con lo stemma della famiglia Torlonia apposta
sul muro di uno degli edificio del borgo



Bibliografia
Meli B.- Ceri, chiesa dell'Immacolata Concezione o di S. Felice II Papa- in "Storia dell'arte", 1982, 44, pp.11-13.
Matthiae G.- Pittura romana nel medioevo. 2: Secc. XI-XIV- Fratelli Palombi, 1988.
Parlato E., Romano S.- Roma e Lazio: il romanico - Editoriale Jaca Book, 2001.
Toubert H.- Un'arte orientata. Riforma gregoriana e iconografia- Jaka Book, 2001.
Zchomelidse N. M.- Santa Maria Immacolata in Ceri- Archivio Guido Izzi, 1996.


lunedì 2 maggio 2016

Fossanova. L'abbazia nella valle dell'Amaseno







     "Se dunque è un'opera singolare e diversa dalle altre [...] la razionalità l'ha fatta diversa"
                                                                                                                                        San Bernardo  



   Considerato uno fra gli esempi più interessanti dell'architettura cistercense nel Lazio, l'Abbazia di Fossanova, in posizione strategica sul percorso che dai monti Lepini conduce verso la costa, è custode della storia di un territorio da sempre al centro di interessi politici e religiosi.
Frequentato già in età repubblicana, come testimoniato dai resti di una villa romana conservati in loco, Fossanova accolse in epoca altomedievale un primo insediamento monastico benedettino, a  cui sarebbero ricollegabili la prima chiesa di S. Stefano e la chiesa dedicata a Maria Vergine.
Resti delle terme della villa romana
Nel 1135 il pontefice Innocenzo II, dato il declino e progressivo abbandono del luogo, vi favorì l'insediamento dei monaci cistercensi che diedero il via ad una serie di interventi volti al recupero e alla modifica delle strutture preesistenti, unito ad un programma di valorizzazione e sfruttamento delle risorse del luogo.
Il 18 giugno 1208 veniva ufficialmente inaugurata la nuova chiesa abbaziale dalla doppia titolatura alla Vergine, com'era consuetudine per le chiese cistercensi, e a S. Stefano, di cui probabilmente si conservavano alcune reliquie sotto l'altare.
La chiesa, come l'intero complesso, era piena espressione dell'architettura cistercense, manifestazione della nuova spiritualità di cui l'ordine si faceva promotore.
Preceduta probabilmente da un nartece, di cui restano tracce sulla muratura esterna, sulla facciata si apre un rosone, sormontato da quello che per alcuni sarebbe il simbolo della corona imperiale degli Hohenstaufen, da cui, nel XIII sec. Fossanova raccolse elargizioni e donazioni.
L'interno, scandito da tre navate ed illuminato dai rosoni della facciata e dell'abside oltre che dalle finestre della navata principale, è esempio di quella purezza e semplicità tipica delle fabbriche cistercensi. Rispettando quelli che erano i canoni stilistici seguiti dall'ordine, decorazioni pittoriche e ricchi apparati vengono banditi a vantaggio di un uso di forme e linee semplici che rendono l'ambiente uno spazio di ampio respiro.
Decorazione riutilizzata come acquasantiera
Nel corso dei secoli comparvero tuttavia alcune decorazioni, oggi osservabili nelle cappelle ai lati dell'abside e sul lato settentrionale del transetto. Qui, dove si apriva la "porta dei morti", da cui si accedeva al cimitero dei monaci, nel XV sec., a sottolineare il valore simbolico di questo passaggio, una maestranza, probabilmente locale, realizzava la scena dell' "Incontro dei Vivi con i Morti", dove tre scheletri rammentano a tre uomini il valore caduco dell'esistenza umana. Sebbene lo stato conservativo della scena sia alquanto lacunoso, ciò che ne resta concorre a trasmettere l'idea dell'importanza riconosciuta al monito espresso.
Affresco dell' "Incontro dei Vivi con i Morti"
La vita monastica all'interno delle abbazie cistercensi era scandita da una rigida ritualità  prescritta dalla  Regola e che segnava le azioni dei monaci e dei conversi durante l'arco di tutta la giornata: tutto ciò si traduceva nella realizzazione di ambienti e strutture finalizzate alla vita quotidiana del cenobio.
Lunetta con decorazioni a basso rilievo della scala diurna
che collegava il Chiostro al dormitorio dei monaci.
Il Chiostro di Fossanova, edificato riutilizzando parte della precedente struttura benedettina e coperto da una volta a crociera ogivale, si apre sul giardino attraverso arcate sostenute da colonnine binate.
Chiostro
Sul lato sud, in corrispondenza dell'ingresso al Refettorio dei monaci, si apre un piccolo padiglione con lavabo, di cui i monaci potevano servirsi per effettuare delle abluzioni prima dei pasti. La sua, però, non era esclusivamente una funzione pratica, ma rivestiva anche il richiamo simbolico alla fons vitae, metafora della purezza rappresentata dall'acqua di origine sorgiva che l'alimentava.
Padiglione con lavabo per le abluzioni
Completate le proprie abluzioni, i monaci si recavano nel Refettorio, a cui si accede attraverso un portale sulla cui lunetta si conservano le tracce di una pittura con la Madonna con il Bambino, circondati da S. Tommaso e S. Antonio. Dell'antico Refettorio si conservano oggi alcuni elementi, fra cui la Loggetta del lettore, da cui uno dei monaci leggeva i testi sacri durante il pasto dei confratelli.
Portale del Refettorio



Refettorio

Poco distante da questo ambiente, sul lato est del Chiostro si apre la Sala Capitolare.
Qui, in un ambiente voltato con crociere costolonate, risalente probabilmente al XIII sec., si riunivano i monaci, sedendo su pancali in pietra, addossati alle pareti, partecipando alle riunioni del Capitolo sulle questioni relative all'andamento del cenobio. In questa sala si conservano alcune decorazioni, come una testa umana e il capo di un ariete, posti all'incrocio delle arcate ed il "nodo di Salomone", uno fra motivi ornamentali più diffusi in epoca medievale.
Sala del Capitolo


Decorazione del Capitolo


Decorazione del Capitolo


Nodo di Salomone

All'inizio dell'anno 1274, durante il viaggio che da Salerno li avrebbe condotti in Francia per partecipare al Concilio di Lione, giungevano, all'abbazia di Fossanova, Tommaso d'Aquino ed il suo segretario Reginaldo da Piperno. Le condizioni di salute dell'aquinate, già precarie, peggiorarono durante il soggiorno presso i monaci cistercensi, dove lo raggiunse la morte il 7 marzo 1274.
L'episodio, che ebbe immediata diffusione, diede inizio non solo al proliferare di leggende sulla fine del santo ma anche ad una serie di traslazioni delle reliquie che si protrassero nel tempo.
Ancora oggi, su una delle pareti absidali della chiesa, un'iscrizione ricorda uno dei luoghi di sepolture in cui i resti trovarono momentanea locazione.


Affresco absidale raffigurante S. Tommaso d'Aquino

All'interno del Chiostro, presso la porta nord di accesso alla chiesa, a riprova del peso assunto dall'evento,  si conserva un blocco in pietra su cui la leggenda vuole siano impresse le impronte del mulo di San Tommaso, che ascoltando i pianti ed i lamenti innalzati per la morte del padrone, si liberò con veemenza dal giogo delle corde della stalla per raggiungere il feretro e manifestare tutto il suo dolore.

Blocco di pietra con le presunte impronte degli zoccoli del mulo di S. Tommaso

Ciò testimonia di quanto la figura dell'aquinate assumesse rilevanza per Fossanova che tributò grande valore trasformando in cappella, il vano, dell'appartamento dell'abate, in cui il santo era spirato. Nonostante i rimaneggiamenti e le modifiche accorse durante i secoli e  che hanno inevitabilmente investito il sito, Fossanova continua a rivestire il fascino della storia e di una spiritualità che si è preservata nel tempo, offrendosi al visitatore che abbia il desiderio di indagarne il fascino e di riscoprirne i segreti.






 Bibliografia
Bianchini A.- L'Abbazia di Fossanova- Casamari, 1976.
Caciorgna M.T. - L'Abbazia di Fossanova. Vicende e problemi di un'abbazia tra stato della Chiesa e Regno (secoli XII-XIII)- in "Il monachesimo cistercense nella marittima medievale. Storia e arte". Atti del convegno Abbazie di Fossanova e Valvisciolo, 24-25 settembre 1999- Edizioni Casamari, 2002.
De Rossi G.M.- Fossanova e San Tommaso. Sulle orme di San Tommaso d'Aquino a Fossanova: un percorso tra agiografia e topografia- Espera, 2013.
De Rossi G.M.- La riscoperta di Fossanova- Comune di Priverno, 2002.
Serafini A.- L'Abbazia di Fossanova e le origini dell'Architettura gotica nel Lazio, in "S. Tommaso d'Aquino O.P. Miscellanea storico artistica", Roma, 1924.