venerdì 26 luglio 2019

Gli affreschi della cripta di Sant'Angelo in Grotte








   Il Molise vanta un patrimonio storico-artistico vario ed interessante, un patrimonio che però spesso soffre di un'inadeguata valorizzazione e di uno scarso interesse da parte del turista. Eppure la storia di questi territori, ravvisabile nelle testimonianze artistiche di cui la regione è costellata, racconta di un passato per nulla povero di avvenimenti, a volte di semplice natura locale, ma anche di realtà legate alle circostanti regioni centro-meridionali.

In provincia di Isernia, stretto tra i paesi di Macchiagodena e Castelpetroso, sorge un piccolo borgo adagiato su un colle: si tratta di San Angelo in Grotte, piccola circoscrizione di Santa Maria del Molise, luogo in cui i locali tramandano sia nato papa Celestino V, il papa del "gran rifiuto". Apparentemente, questo paesino, composto da poche case, sembrerebbe, all'occhio del visitatore distratto, offrire solo qualche scorcio pittoresco. La sua origine, come molti piccoli nuclei di antica fondazione che affollano l'Italia centrale, risalirebbe, secondo la tradizione, al periodo delle incursioni longobarde, quando le popolazioni stanziate a valle reputarono necessario cercare riparo verso luoghi più facilmente difendibili. Alle porte dell'attuale abitato, la Grotta di San Michele, santo venerato dai Longobardi, è un luogo di culto, dove secondo la leggenda, l'arcangelo michele avrebbe dimorato prima di raggiungere il Gargano stabilendosi nell'antro a lui dedicato.



Chiesa di San Pietro in Vincoli



Lasciatesi alle spalle l'accesso alla Grotta di San Michele e dirigendosi verso l'antico nucleo abitativo si incontra la porta che affaccia a valle, a cui è addossata la chiesa di San Pietro in Vincoli. L'interno di questa chiesa non presenta elementi di particolare interesse a causa di profonde ristrutturazioni che, a partire dal XVIII sec. ne hanno completamente trasfigurato la struttura originaria. Ciononostante, la chiesa presenta un tesoro al suo interno, nascosto al di sotto del suo pavimento: attraverso una botola posta a destra dell'ingresso è possibile discendere alla cripta, un vano scavato parzialmente nella roccia e quasi integralmente rivestito da affreschi, fra i più interessanti e singolari che il Molise possa vantare. Riscoperta in epoca recente, durante interventi di ripristino della chiesa superiore del 1954, la cripta si presenta come un ambiente coperto con volta a botte ribassata e dalle dimensioni piuttosto contenute (h.2,28 mt.-lun. 4 mt.-larg. 2,80 mt).






I primi storici dell'arte che si cimentarono nel suo studio, avanzarono l'ipotesi che fosse destinata a sepoltura dei defunti, ma questa tesi, sebbene la presenza di alcuni resti umani rinvenuti in loco, non si è mai concretizzata come definitiva. 
L'ambiente si presenta quasi totalmente decorato, e se la volta ed alcune sezioni delle pareti presentano temi geometrici o variamente ornamentali, nel registro parietale mediano si sviluppa il tema delle opere di misericordia. Dato lo stato di conservazione delle pitture, inizialmente, fu complesso l'individuazione del tema, ma i restauri realizzati hanno permesso una quasi totale lettura degli stessi. Il soggetto è tratto dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25, 34-40) in cui Cristo enuncia le azioni che ogni buon cristiano dovrebbe compiere per meritare il regno dei cieli. 
Nella cripta di Sant'Angelo in Grotte il ciclo presenta una peculiarità: nel Vangelo di Matteo vengono elencate sei opere, mentre fra i riquadri dipinti compare una settima scena che rappresenta la "Sepoltura dei defunti". Tale consuetudine venne inserita fra le opere di carità cristiana nella riforma benedettina redatta dal Capitolo Cassinese nel 1275; fra le prime rappresentazioni complete delle sette opere, Angelo Viti indicava il ciclo realizzato intorno al 1320 sul portale di Santa Maria della Salute a Viterbo, opera di Lorenzo Maitani. 

Le sette opere di Sant'Angelo in Grotte vennero realizzate probabilmente tra la fine del XIV e l'inizio del XV sec., ovvero sotto il potere dei Santangelo, signori di queste terre durante il regno angioino. Seguendo l'ordine trascritto nel Vangelo, la lettura del ciclo ha inizio dalla parete destra, su cui vennero realizzate le prime quattro scene. Intervallate da cornici pittoriche ornamentali, ogni singolo riquadro ha la propria unità narrativa, arricchita in basso da un cartiglio dove vengono riportate le esortazioni misericordiose. 
Nella prima scena, anche se in uno stato conservativo non ottimale, una struttura architettonica stilizzata fa da sfondo ad un gruppo di personaggi fra cui spicca il Cristo -identificato dal nimbo cruciforme- che si appresta ad una tavola a cui siedono un personaggio incappucciato e due commensali. Il riquadro si riferisce all'esortazione "dar da mangiare agli affamati", con il Cristo nel ruolo del bisognoso. Accanto, nella scena "dar da bere agli assetati", ancora il Cristo si avvicina, chiedendo da bere, ad un uomo dalla veste color ocra ed il berretto rosso.






"Vestire gli ignudi" costituisce l'episodio con il maggior numero di personaggi rappresentati: all'esterno di un'abitazione con tetto spiovente a tegole rosse, un donatore aiuta un bisognoso a vestirsi sotto lo sguardo benedicente del Cristo nimbato. A chiusura delle scene rappresentate sulla parete destra, il Cristo-pellegrino viene accolto in casa da una donna, secondo il principio che invita il buon cristiano ad offrire riparo al ramingo.








La decorazione continua sulla parete di contro-facciata, dove ai due lati dell'ingresso vennero dipinte la quinta e sesta opera di misericordia: in "visitare gli infermi", un uomo riverso su di un letto di legno all'interno della propria camera, è circondato da tre individui giunti a recare conforto; nella successiva "visitare i carcerati", un uomo, recante un'anfora legata alla cintola, si appresta a dar da bere ad un carcerato il cui volto sporge da una finestrella del carcere.








Poco distante da loro, un uomo seduto su uno scranno, appoggiato alla massiccia architettura, è immerso nel sonno con il volto appoggiato alla mono destra ed un libro chiuso, stretto nella sinistra. 
Il ciclo si chiude con la scena della sepoltura dei morti. L'episodio si svolge all'interno di una chiesa dal tetto spiovente e sormontata da una torre campanaria. Al suo interno, un nutrito gruppo di chierici tonsurati circondano il catafalco su cui è disteso il defunto, intenti nella celebrazione religiosa. Sebbene incentrando la propria attenzione sull'evento narrato, il pittore che fu qui all'opera, dimostra di non tralasciare neppure in quest'occasione la cura per l'ambientazione scenica, introducendo elementi architettonici come l'esile colonna con capitello, la torretta campanaria e la struttura di un pulpito.



Attigua all'ultima scena del ciclo, la decorazione del registro mediano si conclude con due ulteriori riquadri figurativi in cui compaiono la città di Betlemme -identificata con il nome tracciato nella fascia immediatamente sottostante- ed infine un sole dai tratti antropomorfi. Entrambi i riquadri sembrerebbero assumere caratteri metaforici, in un lettura di natura cristocentrica, dove Betlemme è ricordata come luogo della nascita del Cristo, mentre il sole assurge a simbolo del Redentore. 
Nella rappresentazione di Betlemme, gli edifici si affastellano gli uni sugli altri senza alcun tentativo di rendere realistica la rappresentazione urbana, ricorrendo ad uno schema consuetudinario e quasi surreale. Se in altri contesti, gli artisti cercarono di identificare i caratteri urbani dei luoghi in cui operavano con le città della tradizione cristiana, qui certo non si ravvisano i caratteri della Sant'Angelo in Grotte di epoca medievale, riducendo il tutto a mero simbolo.




Chi visita la cripta molisana, ha tuttavia modo di rendersi conto di una certa cura che il pittore, qui attivo, profuse nella costruzione delle scene, tutte invariabilmente inserite in un contesto architettonico aderente agli episodi che di volta in volta si snodano lungo le pareti, al richiamo alle mode dell'epoca tardo medievale, riscontrabili nell'abbigliamento dei numerosi personaggi che compaiono nei riquadri, in una forma quasi di testimonianza storica da lasciare ai posteri.
Anche se lo stile appare spesso incerto e non avvicinabile a prodotti pittorici coevi di matrice più raffinata, l'artista di Sant'Angelo in Grotte dimostra di essere un uomo del suo tempo, informato degli episodi artistici compiuti in area molisana e consapevole del messaggio che la propria opera doveva trasmettere. 
Tutto ciò rende questo piccolo tesoro nascosto e sconosciuto ai più, un occasione per avvicinarsi alla storia di questa terra, cercando di approfondirne le vicende ed un'opportunità per comprenderne le sfaccettature. 



INFORMAZIONI 
Il borgo di Sant'Angelo in Grotte, circoscrizione di Santa Maria del Molise si trova in provincia di Isernia. Per visitare la cripta di San Pietro in Vincoli è consigliabile contattare la Proloco per conoscere gli orari di apertura al pubblico ed eventualmente fissare un appuntamento per effettuare la visita. 

BIBLIOGRAFIA
C. Ebanista, M. Mancini- Insediamenti rupestri di età medievale in Molise: luoghi di culto e abitazioni in Opera Ipogea- Atti VI Convegno Nazionale di Speleologia in Cavità Artificiali- Napoli, 30 maggio- 2 giugno 2008.
C. Ebanista, A. Monciatti- Il Molise medievale archeologia e arte- Borgo San Lorenzo, 2010.
V. Marino- Gli affreschi delle opere di misericordia corporali e del Cristo Pantocratore a Sant'Angelo in Grotte e i rapporti con Roccaravindola e Pizzone in "Studi medievali e moderni" a.XVII fasc.1, 2013- Napoli, 2014.
A.TrombettaArte nel Molise attraverso il medioevo- Campobasso, 1984.
A. Viti- Le opere della misericordia a S.Pietro in Vincoli di Sant'Angelo in Grotte- Nocera, 1978.

domenica 5 maggio 2019

Il Castello di Avella






   Viaggiando sull'autostrada "Dei due mari" che scavalca i monti dell'Appennino campano collegando il mar Tirreno alla costa adriatica pugliese, lungo il percorso si susseguono piccoli centri, più o meno tipici, a volte distinti gli uni dagli altri per qualche traccia monumentale che ne connota il profilo. Lasciandosi alle spalle la provincia di Napoli ed addentrandosi in quella di Avellino, si incontra, adagiato sul declivio del monte che sovrasta la cittadina di Avella, un castello, o per meglio dire, i resti di un antico castello, cinto da due corone di mura difensive: si tratta del castello medievale di Abella, costruito ai tempi dei Longobardi a presidio del tracciato viario.
La storia dell'antica Abella -nota in passato sia per la produzione di nocciole (nux abellana) sia per aver dato il nome al genere teatrale delle atellane- è la storia di un piccolo centro dal fertile territorio che fu città sannitica e successivamente sottoposta al dominio della I Regio romana.
Tra i secoli II a.C. ed I d.C., il piccolo sito visse il periodo di maggior splendore: al I sec. a.C. risale  infatti la costruzione dell'anfiteatro -tutt'oggi esistente- mentre ancora osservabili sono i resti di sepolture monumentali, appena fuori l'abitato attuale, alcune delle quali databili ad epoca tardo-imperiale.
La fortuna di Avella non fu una costante della sua storia che, anzi, fu segnata da momenti di crisi tradottesi in contrazioni economiche e demografiche che si ripercossero sull'assetto urbano: basti pensare che il Consolare della Campania, Barbaro Pompeiano - ricordato da un'iscrizione rinvenuta presso Cimitile- nell'anno 333 d.C, promuoveva la ricostruzione di Avella, in evidente stato di urgenza, risparmiando i monumenti antichi locali dallo spolio ed utilizzando materiali ex-novo.


Mausolei della necropoli di Avella


Nonostante le sorti altalenanti, Avella non venne abbandonata né perse d'importanza strategica: la sua posizione geografica, attigua al fiume Clanis, ed a nord-ovest del passo di Monteforte Irpino, contribuì anche durante i secoli che seguirono alla caduta dell'Impero Romano, a confermarla come postazione di controllo lungo la tratta che dalla pianura campana raggiungeva la valle del Sabato e quindi la Puglia, .

L'instabilità politica che investì l'Italia a partire dall'alto medioevo, caratterizzata da lotte che videro contrapporsi i Bizantini ai Longobardi, non risparmiò la cittadina di Avella, terreno su cui a volte le due fazioni si affrontarono, oltre ad essere vessata dalla minaccia delle incursioni saracene.
Al confine con il Ducato di Napoli e Capua, assegnata nel IX sec. al principato di Salerno di Siconolfo, non molto distante dal principato di Benevento, il controllo e la difesa di Avella si configuravano come necessità di mantenimento del dominio sul territorio e sul tracciato viario che si apriva verso la Puglia, necessità che si concretizzava nell'esigenza di innalzare un presidio militare fortificato.
E' databile probabilmente all'affermazione longobarda su questi territori, la costruzione dell'originario castrum, eretto sul pendio del monte a guardia dell'antico abitato posto a valle. 
La prima struttura longobarda (costruita a 320 mt. s.l.m.) prevedeva una prima rocca circondata da una cinta muraria di pianta ellittica, intervallata da dieci semitorri, che abbracciava un'area di circa 10.000 mq. 
Le fonti storiche non abbondano di notizie circa le vicende ed i nomi dei signori longobardi che governarono il castello, più numerose sono le informazioni sugli assedi che il primitivo impianto longobardo affrontò: le scorrerie saracene dell'883, l'attacco condotto dai bizantini di Atanasio nell'887, e l'incursione degli Ungari nel 937, sono alcuni episodi salienti della storia del sito in questa sua prima fase.

L'arrivo dei Normanni nell' XI sec. confermò il castello di Avella, trasformato in feudo, nel suo ruolo di presidio strategico. La precedente struttura dovette rivelarsi inadeguata alle esigenze dei nuovi dominatori che intervennero con opere di ampliamento sull' originario insediamento: alla cinta muraria ellittica andò ad aggiungersene un' ulteriore a pianta poligonale, alternata da nove torri quadrangolari, edificata in posizione inferiore, ed inglobante un'area di 21.000 mq. Le fonti storiche appaiono più generose nel restituire i nomi dei signori normanni di Avella, ricordando come primo gastaldo "Aldoyno[...] ex militibus Abersano" , da alcuni storici collegato alla famiglia aversana dei Mosca. Tale legame ritornerebbe nei successori di Aldoino, come con Rainaldo II Mosca, signore di Avella, e nei suoi discendenti, che avrebbero conservato il potere sul feudo anche sotto la dinastia sveva. Con l'avvicendamento tra gli svevi e gli angioini, i Mosca avrebbero parteggiato per i nuovi arrivati, posizione che avrebbe garantito alla famiglia, oltre alla conferma del dominio su Avella, ulteriori onori e titoli. Alla morte dell'ultima erede dei signori di Avella, la contea passò ai del Balzo che la conservarono fino al 1432, anno in cui andò ad accrescere i possedimenti degli Orsini di Nola. E' a partire dal dominio di questa famiglia che inizia il decadimento della struttura del castello, danneggiato dai terremoti del 1456 e del 1466, è probabile che gli Orsini non abbiano investito cospicue risorse nel suo riassetto, favorendo così l'inizio di un declino continuato sotto i Colonna, entrati in possesso della fortezza nel 1534. Nel 1553 vennero avviati lavori di recupero promossi dalla famiglia Spinelli, subentrata ai Colonna: durante il loro dominio, complice un mutamento degli orientamenti architettonici del tempo, vennero realizzati interventi di modifica della rocca che avrebbe dovuto assumere più l'aspetto di un palazzo a discapito della sua origine schematicamente militare. L'aspetto difensivo però non venne per tale motivo trascurato, infatti con l'affermarsi dell'uso della polvere da sparo e quindi di armi che garantivano una maggiore gittata, i signori del castello intrapresero interventi di consolidamento delle difese, edificando strutture volte a garantire una resistenza agli attacchi più efficace. La ripresa del castello non sarebbe però durata a lungo, fermata dalla cenere dell'eruzione del Vesuvio che ne ricoprì le strutture nel 1631 decretandone così un lento abbandono.




Oggi il castello appare come un'entità indipendente rispetto all'abitato di Avella. Isolato sul suo declivio, vi si accede dopo aver percorso un breve tratto di strada sterrata, detta evocativamente via dei Normanni, che contribuisce ad amplificare la suggestione che questo luogo suggerisce.
Delle strutture interne alle mura è rimasto poco: l'imponente torre cilindrica, alta circa 20 mt., su base troncoconica, ed i resti del mastio di pianta rettangolare appaiono come gli edifici di più facile lettura architettonica, ma le campagne di scavo, condotte in passato, hanno messo in luce una serie di ambienti legati al regolare svolgimento della vita della fortezza, come una cisterna ubicata nell'area a sud-ovest, le scuderie e probabilmente una piccola chiesa per la devozione dei castellani. Le strutture superstiti mettono in luce la scelta tecnica dei costruttori di ricorrere alla tessitura muraria dell'opus incertum, facendo uso di pietra calcarea locale con sporadico uso di materiale di spoglio, probabilmente reperito fra i monumenti antichi già presenti in loco.
Il sito è aperto al pubblico ed è possibile visitarlo contattando il Comune di Avella che consente anche la visita nella necropoli monumentale e dell'anfiteatro previo appuntamento.



Bibliografia
T. Cinquantaquattro, D. Camardo, F. Basile- Il castello di Avella (Av): le indagini archeologiche sulla rocca in Atti del Congresso Nazionale di Archeologia medievale: Castello di Salerno, Complesso di Santa Sofia, Salerno 2-5-ottobre 2003.
P. Colucci- I signori di Avella dall'XI al XIII sec. in Atti del Circolo Culturale B.G. Duns Scoto nn.23-25 pp.7-41.
G. Coppola, G. Muollo- Castelli medievali in Irpinia- Milano 1994.
G. Coppola, C. Megna- Due castelli medievali in terra d'Irpinia: Avella e Summonte in ArNoS- Archivio Normanno Svevo- Testi e studi sul mondo euromediterraneo dei secoli XI-XIII- 3, 2011/2012, Ariano Irpino.
F. Cordella - A guardia del territorio. Torri, castelli e fortezze. Il castello di Avella. "Campania Felix" n.9, pp.56-60.
E. Cuozzo- Il Medioevo in Storia illustrata di Avellino e dell'Irpinia (a cura di G. Pescatori Colucci, E. Cuozzo, F. Barra), 1996.
M.A. Ianelli- Per uno studio del castello di Avella: il contributo della ricerca archeologica in Il Restauro dei castelli nell'Italia Meridionale (AA.VV)- Caserta, 1989.
Strabone- Geografia V, 3,6.
P. Peduto- Torri e castelli Longobardi in Italia Meridionale:una nuova proposta in Castelli: storia e archeologia. Relazione al Convegno di Cuneo 1981 (a cura di R. Comba, A. Setta)- Cuneo, 1984.