venerdì 23 dicembre 2016

Santa Maria la Nova di Napoli. Tra storia, tradizioni e misteri






   All'inizio del XIII sec., nell'area compresa tra il mare e la collina di Pizzofalcone, sorgeva la chiesa di Santa Maria ad Palatium che una leggenda voleva essere stata fondata da San Francesco d'Assisi.
La posizione favorevole occupata dall'edificio francescano e l'ormai inadeguatezza delle preesistenti strutture di Castel dell'Ovo e Castel Capuano, portarono il re Carlo I d'Angiò a scegliere l'area per l'edificazione della sua nuova residenza: Castel Nuovo.
Il sovrano s'impegnava ad indennizzare i frati francescani con una nuova chiesa ed annesso convento che sarebbero stati innalzati poco distanti e che avrebbero avuto il titolo di Santa Maria la Nova, per distinguerla dalla precedente struttura. Con atto ufficiale datato 10 maggio 1279, Carlo I destinava l'area della Regio Albinensis alla costruzione del complesso e lo poneva sotto il patronato regio. Sebbene la fabbrica venisse edificata in puro stile gotico, scarse sono le tracce della struttura originaria, gravemente danneggiata dai sismi che durante il XV e XVI sec. si abbatterono su Napoli a cui seguirono restauri e trasformazioni che ne modificarono definitivamente l'aspetto.
Nel 1596 Giovan Cola di Franco riceveva l'incarico di condurre i lavori. La chiesa venne riaperta al pubblico già nel 1599, benché i lavori si protrassero ancora fino al 1663.
Al fasto artistico di cui si arricchì Santa Maria la Nova si associò l'importanza che il suo Studium andò ad acquisire, divenendo uno dei centri culturali più fecondi che l'Ordine francescano potesse annoverare.
Il complesso rivestì un peso determinate in quanto una delle chiese più importanti che l'Ordine Francescano possedeva in città. Basti pensare che durante il Viceregno, ed almeno fino alla prima metà del '600, i Vicerè, seguendo un rigido cerimoniale di corte, si recavano presso Santa Maria la Nova ad ascoltare la messa officiata in occasione della festività di San Francesco d'Assisi.
Oggi il complesso monumentale di Santa Maria la Nova si presenta al visitatore  come un edificio dal vasto apparato artistico e storico. La chiesa, a navata unica, è un esempio eccellente dell'arte seicentesca. La sua facciata, a due ordini con l'inferiore in piperno, preceduta da una doppia scalinata, presenta un portale ad edicola in cui è inserito un medaglione marmoreo con l'immagine della Vergine con il Bambino, incoronata da due angeli, a ribadire la dedica dell'edificio alla Madre di Dio.



L'interno della chiesa, a croce latina e navata unica, lunga circa 70 metri, presenta al suo interno lo spettacolo dell'opera che vi realizzarono gli artisti che vi operarono. 
Sull'altare maggiore trova scenografica locazione la struttura a marmi policromi progettata da Cosimo Fanzago e realizzata dai suoi collaboratori, Andrea Lazzaro e Giuseppe Pellizza. Arricchito da statue bronzee e lignee, nella sua ancona è inserita l'immagine della Madonna con il Bambino, da alcuni ritenuta opera proveniente dall'antica Santa Maria ad Palatium. Gli affreschi del coro, con storie della Vergine e di Sant'Anna e San Gioacchino, vennero realizzati, a partire dal 1603, da Belisario Corenzio e dai suoi collaboratori.




Lo stile di Belisario Corenzio è riconoscibile anche negli affreschi presenti nelle lunette della cupola sovrastante l'incrocio del transetto, dove sebbene alcune sezioni si presentino in uno stato compromesso, si riesce a percepire il progetto che ne era alla base.




La cupola è preceduta da uno dei soffitti lignei dorati più pregevoli che possano trovarsi in città. Realizzato a cassettoni, è arricchito da 46 tavole dipinte che celebrano in gran parte la figura della Vergine. Le opere vennero realizzate dai maggiori maestri che operarono a Napoli all'inizio del XVII sec., ritrovandovi ancora Belisario Corenzio ma anche artisti del calibro di Francesco Curia, Girolamo Imparato e Fabrizio Santafede.




La navata appare circondata da cappelle, divise da pilastri, commissionate da famiglie notabili, ed arricchite di marmi policromi, affreschi manieristi ed opere di artisti napoletani come il Maestro di Pere Roig de Corella, allievo di Colantonio, il cui trittico con San Francesco, Santa Caterina d'Alessandria e Santa Lucia, adorna la Cappella Pironte.


Cappella Pironte. San Francesco fra Santa Caterina d'Alessandria e Santa Lucia


All'interno della chiesa si apre però una cappella più imponente delle altre, quella dedicata a San Giacomo della Marca (1393-1474), sacerdote marchigiano, molto attivo nella città di Napoli e beatificato nel 1624. Inizialmente realizzata su progetto di Raimo Epifanio, la cappella subì successivi rimaneggiamenti, tra il 1634 ed il 1646, ad opera di Cosimo Fanzago. 
La volta ospita affreschi con le vicende della vita di San Giacomo, realizzati da Massimo Stanzione che eseguì anche la decorazione pittorica per la volta della Cappella d'Aquino di Casoli, con la scena di San Diego d'Alcalà che bacia il piede di Cristo, inserita in una volta dorata e riccamente decorata a cui fanno da cornice putti marmorei.


Volta della Cappella di San Giacomo della Marca. Vita di San Giacomo. M. Stanzione


Cappella d'Aquino di Casoli. San Diego d'Alcalà bacia il piede di Cristo. M. Stanzione

Dal 29 novembre 2016 fino al 29 gennaio 2017, la Cappella  di San Giacomo della Marca ospiterà la mostra presepiale Nativity in the World, patrocinata dal Centro Permanete di Ricerche e Studi sul Presepe Napoletano. Qui vengono esposte opere di diversi artisti del presepe, che ligi alla tradizione presepiale napoletana interpretano il tema della Natività, lasciando spazio, come di consueto alla celebrazione del vivere quotidiano dei vicoli partenopei del XVII- XVIII sec.


S. Principe- Natività in rudere di Tempio

Presepe G. De Martino. Pastori F.lli Sinno


     A. Bifaro, G. Cerulo- Casaro          L. Baia- Natività con Adorazione
                                                               dei Magi- particolare


V. Ammaturo- Cient mestieri



Uscendo dalla chiesa si percorre il deambulatorio del chiostro minore.  E' questo uno spazio le cui volte ed il registro superiore delle pareti sono affrescate con storie di San Giacomo della Marca probabilmente opera di Andrea Leone ed aiuti. Qui si ritrovano anche alcuni monumenti funebri che inizialmente installati all'interno della chiesa furono qui traslati in occasione dei rimaneggiamenti del complesso. 


Chiostro minore

La torre dell'orologio con quadrante maiolicato di Santa Maria la Nova


Fra questi uno in particolare ha ultimamente attratto l'attenzione dei ricercatori. Si tratta della tomba di Mattia Ferrillo, alto funzionario durante il regno di Ferdinando I d'Aragona ed insignito dal sovrano del titolo di Conte di Muro Lucano. Sulla lastra tombale del suo monumento, i cui resti mortali probabilmente si conservano ancora all'interno della chiesa, compaiono alcuni simboli, uno stemma araldico della famiglia Ferrillo, sormontato da un elmo da cavaliere su cui poggia la figura mitologica di un drago a fauci spalancate.


Lastra marmorea del monumento funebre di Mattia Ferrillo


Fra gli studiosi è iniziata da qualche anno la ricerca sulla verità legata a questa lastra tombale ed ai simboli rappresentati su di essa, fomentando la ricerca sulla famiglia Ferrillo e in special modo sulla principessa slava Maria Balsa, giunta orfana a Napoli dai Balcani al seguito di Jorge Skanderberg, despota di Albania e membro dell'Ordine del Dragone, che andò sposa a Giacomo Alfonso Ferrillo, figlio di Mattia. Potrebbe Maria essere figlia di Vlad Tepes III di Valacchia e così giustificare quei simboli sulla tomba di famiglia? Questo è un interrogativo su  cui vertono ancora le ricerche degli studiosi, investendo questo monumento di un'aurea misteriosa.

Attraverso il chiostro si accede all' Antico Refettorio della cui antica decorazione, oltre a piccole tracce, resta l'affresco con la Salita al Calvario, attribuito ad Andrea da Salerno ed un pulpito scolpito addossato alla parete con una Crocefissione e Santi.



Refettorio. Salita al Calvario (part.). Andrea da Salerno (att.)

Pulpito del Refettorio


Numerose sono le opere che questo complesso monumentale serba ancora al visitatore, quasi impossibile elencarle tutte...
Una visita a Santa Maria la Nova è un tuffo nel cuore di Napoli, con la sua storia, le sue tradizioni secolari e i tesori d'arte ineguagliabili.


Informazioni:
Il Complesso monumentale di Santa Maria la Nova si trova a Piazza Santa Maria la Nova 44, Napoli (a pochi metri da piazza Giacomo Matteotti).
L'ingresso al complesso e alla mostra ha un costo di 5 euro.


Bibliografia
A. Antonelli (a cura di)- Cerimoniale del viceregno spagnolo e austriaco di Napoli 1650-1717- Crotone, 2012.
G. A. Galante- Guida Sacra alla città di Napoli- Napoli, 1872.
G. Mascia- L'Accademia di S. Maria la Nova in Napoli- Napoli, 1977.
M. Perrillo- Misteri e segreti dei quartieri di Napoli- 2016.
P. G. Rocco- Il convento e la chiesa di S. Maria la Nova di Napoli nella storia e nell'arte- Napoli, 1927.
N. Spinosa, G. Cautela, L. Di Mauro, R. Ruotolo (a cura di)- Napoli Sacra. Guida alle chiese della città- Napoli, 1993.





giovedì 8 dicembre 2016

Acuto. Alla scoperta della chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco

  





  Lungo la strada che conduce da Anagni a Fiuggi, adagiato su di un'altura affacciata sulla Valle del Sacco, sorge il piccolo borgo di Acuto, circondato dai suoi ulivi, con le sue case dai tetti rossi ed i campanili delle chiese a delinearne il profilo. 
Passeggiare fra le sue stradine trasmette l'esatta concezione di quanto il suo passato e la sua storia, testimoniata dalle sue antiche porte, dalle sue chiese, dai resti delle mura di quello che ne fu il castello e le sue torri, coesistano con le strutture moderne, segno di una continuità abitativa che non ha conosciuto interruzioni nel tempo.
Se la fondazione dell'abitato e l'assetto originario del suo castello affondano nell'incertezza storica a causa della mancanza di fonti scritte,  è a partire dall' XI sec. che Acuto trova una prima menzione ufficiale in un Privilegium emanato da papa Leone IX, nell'ottobre del 1051, in cui il pontefice assegnava al monastero di Subiaco le chiese di San Felice e San Quintino, poste nel territorio acutino.
Dall' XI sec. in poi, il castello di Acuto verrà più volte ricordato nella documentazione papale fino ad essere ufficialmente posto sotto la giurisdizione diretta del vescovo di Anagni. 
Il potere esercitato dai vescovi della vicina Anagni contribuì a creare un rapporto simbiotico fra i due territori, basti pensare che il monte Acuto costituì, durante le diverse invasioni barbariche che si abbatterono sulla penisola e sul Lazio nel corso dei secoli, un luogo sicuro in cui i vicini anagnini, ebbero modo di trovare più volte riparo.
Fino al 1920, qui era conservata una statua lignea nota come Madonna di Acuto - oggi esposta al Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma - che la tradizione orale tramandava fosse dono del papa anagnino Bonifacio VIII (1230-1303), al secolo Benedetto Caetani. A prescindere da chiunque ne sia stato l'effettivo donatario, la statua è esempio di una qualità scultorea non trascurabile e sebbene le pietre che ne adornano il manto non siano preziose, l'uso di foglia d'oro puro utilizzata per il manto del Bambino, e la perizia tecnica di cui è testimonianza, permettono di inserirla fra gli esemplari più interessanti della scultura lignea medievale nel Lazio.


Madonna di Acuto

La storia di Acuto, posto sul tracciato della via Francigena, presenta molti aspetti delle proprie vicende ancora avvolti da misteri irrisolti, enigmi alla cui risoluzione si dedicano con passione ed impegno gli storici locali, nel tentativo di ricostruire i fatti del proprio territorio e di coloro che ne furono i protagonisti: in questo panorama si inserisce sicuramente la piccola chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco. 


Facciata della chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco

Posta sulla strada che conduce al vecchio abitato, il piccolo edificio, dalle forme esteriori modeste, rappresenta uno degli enigmi della storia di Acuto.
La doppia titolazione al martire Sebastiano - protettore contro le pestilenze- ed al francese Rocco- santo taumaturgo, anch' egli invocato, fin dal medioevo, a tutela dei popoli dal pestilenziale morbo- unitamente alla scoperta di documenti d'archivio che ne fanno menzione, hanno portato gli storici alla conclusione che la sue vicende fossero legate ad un periodo di diffusione del morbo in area ciociara.
Fin qui sembrerebbe di leggere una storia come tante...
E', però, varcata la soglia  che quest'edificio offre a chi la visita un' esperienza del tutto inaspettata, che il passante distratto, magari non particolarmente attratto dalle forme semplici della sua facciata, non potrebbe mai sospettare. 
L'interno della chiesa ospita, infatti, alcuni cicli pittorici riconducibili a periodi e committenti differenti, che si dispiegano nel catino absidale, sulla parete d'altare e su parte delle laterali, con alcune tracce superstiti sulla superficie di controfacciata. 


Interno della chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco

Il ciclo più antico, di datazione certa, è quello posto sulla parete d'altare, dove ai due lati del catino absidale, fra le decorazione a grottesche che fanno da cornice all'abside, compaiono due cartigli in cui è inserita la data 1528.


Datazione degli affreschi della parete d'altare

All'interno di una finta architettura, che richiama le linee dei templi classici, si articolano le scene del ciclo. Nel registro inferiore, partendo da destra, è rappresentato S. Girolamo penitente, mentre sul lato sinistro, un fiero S. Michele Arcangelo è ritratto nell'atto di uccidere il diavolo con la lancia che è nella sua destra, mentre con la sinistra reca una bilancia con la quale è intento alla pesa delle anime. 


San Girolamo penitente


San Michele

E' interessante notare che gli sfondi paesaggistici in cui sono ritratti i due santi sembrino descrivere dei territori tratti dalla realtà, riproponendo, forse in maniera stilizzata, proprio i borghi che era possibile osservare in queste zone nel XVI sec. Fra gli storici locali è stata avanzata la tesi secondo cui, in una di queste rappresentazioni, sia individuabile il borgo di Acuto, riconosciuto per il profilo delle sue torri.


Particolare della scena di San Michele con la rappresentazione di Acuto

Il registro superiore è occupato dalla scena dell' Annunciazione. 
Seguendo il racconto enunciato nel Vangelo di Luca, l'angelo Gabriele, recante dei gigli, annuncia ad una Vergine, rappresentata nell'intimità della propria dimora, il concepimento del figlio di Dio. L'artista che ha realizzato l'opera si attiene qui scrupolosamente a realizzare una scena, inserita in una quinta architettonica di sapore rinascimentale, che rispetti tutti i canoni tradizionali. La giovane Maria è intenta alla lettura presso il suo scrittoio, rappresentato con una decorazione raffinata, sui cui ripiani compaiono anche la clessidra e la candela, mentre Gabriele arriva presso la sua casa avvolto nelle sue vesti leggere. Su entrambe le figure compare lo stemma di acuto, i tre chiodi della croce su fondo rosso.


Angelo Annunciante

Vergine 

Particolare dello scrittoio della Vergine

Il terzo registro è occupato da un finto timpano, in cui due angeli recano uno stemma con una bianca torre a cinque merli sormontata da un galero a dieci nappe. Lo stemma dovrebbe ricondurre al committente dell'opera, probabilmente un prelato che rivestiva la carica vescovile, come farebbero pensare il galero ed il numero ed il colore delle nappe.


Stemma del committente

Nel vano absidale, circondata dai santi titolari della chiesa, San Sebastiano a sinistra e San Rocco a destra, incorniciati da finte lesene decorate a grottesche, la Vergine - realizzata secondo la medesima scala metrica dei santi ai lati- assisa su di un ricco seggio con schienale culminante in una calotta a forma di conchiglia, tiene il Bambino che reca nella sinistra il libro, mentre la destra è in atto benedicente. 


Abside

Nella calotta absidale, Dio Padre, circondato da putti e schiere di angeli musicanti, in una corrispondenza di gesti, riprende l'atto benedicente del Figlio, mentre nella sinistra regge il globo terracqueo. E' stato osservato dagli storici locali, come quest'ultimo appaia tetrapartito ed al suo interno si intraveda una nave in navigazione, in considerazione delle scoperte geografiche delle Americhe, maturate sul finire del XV sec. Gli artisti che furono ingaggiati per eseguire questa decorazione pittorica si dimostrarono consci degli orientamenti stilistici della Roma del XVI sec. e ciò è osservabile non solo nell'uso delle fasce a grottesche che incorniciano le scene rappresentate ma ancor più nei passaggi chiaroscurali e nella resa del panneggio delle vesti di alcuni personaggi come l' angelo Gabriele. 
Se in alcuni brani la resa potrebbe apparire incerta, la realizzazione, nel complesso denuncia una consapevolezza culturale forse giustificata dal ruolo del committente e dei rapporti che , in quanto ecclesiastico, ebbe necessariamente con Roma.


Particolare della decorazione della calotta absidale- Dio Padre con il Globo Terracqueo 


Sulle pareti laterali, nelle immediate prossimità della parete absidale, due rappresentazioni della Madonna con il Bambino e Santi, di qualche anno postume a quelle d'altare, precedono due cappelle decorate intorno al XVII sec., la cui realizzazione dovette avvenire in parte sacrificando quelle preesistenti. 
La cappella settentrionale, la cui esecuzione avvenne per volere della famiglia Giannuzzi Savelli, richiama ancora una volta una struttura classica, qui arricchita con base a finte specchiature marmoree e timpano sorretto da coppie di colonne dorate fra cui, in due finte nicchie, compaiono Re David e Mosè. Nel vano parietale ricorre il tema della Vergine con il Bambino e santi mentre sul timpano, lo stemma dei Giannuzzi Savelli restituisce ai posteri la memoria dei committenti. 


Cappella Giannuzzi Savelli
  
Sulla parete meridionale, una seconda cappella, anch'essa realizzata intorno al XVII sec., se risolve i dubbi sull'artista che la realizzo - Agostino Ludovisi, che vi appose la sua firma- presenta peculiarità che sollevano la curiosità del visitatore. Nella parte superiore della parete, infatti, incorniciata in una finta struttura marmorea, il pittore realizzò un riquadro delle dimensioni di 40x70 cm in cui allineò delle lettere articolate in 11 colonne e 9 righe la cui invocazione "DEO GRATIAS" è leggibile secondo diverse direzioni. Chi fu il committente del palindromo e perché scelse di realizzarlo in posizione elevata, non favorendo quindi un'agevole lettura, è un quesito che non ha ancora trovato risposta.  


Cappella del palindromo


Il palindromo di Acuto

Il palindromo ed il suo sconosciuto committente non sono però gli unici elementi ad aver attratto l'attenzione dei simbolisti. Durante i lavori di restauro dell'edificio, al di sotto degli strati che furono apposti a rivestire alcune sezioni parietali, riemersero quattro croci, inscritte in dischi, non ricollegabili ai cicli dei secoli XVI e XVII. La tipologia della decorazione sembrerebbe rimandare alla simbologia Templare. L'Ordine, però, venne dissolto nel 1314 e se si attestasse l'appartenenza all'ambito Templare delle croci, ciò comporterebbe l'avanzamento di una tesi a sostegno di una datazione medievale per l'edificazione della chiesa.


Tre delle quattro croci riemerse durante il restauro

Poco distante si conserva l'unico elemento scultoreo antico dell'edificio, un catino per l'acqua santa che riproduce la proboscide di un elefante.


Catino per l'acqua santa 

Nei bestiari medievali, all'elefante venivano riconosciute numerose virtù lodate dalla Chiesa. Fra queste spiccavano la pazienza, la carità, il coraggio e l'ubbidienza, considerati exempla per i buoni cristiani e come tale il riferimento zoomorfo troverebbe valenza simbolica nella decorazione dell'acquasantiera.
L'animale non era sconosciuto ai popoli medievali, a tal proposito basti ricordare l'esemplare che Harun al- Rashid, califfo di Baghdad, inviò in dono a Carlo Magno a seguito della sua incoronazione nell' anno 800. Presso la Torre di Londra, inoltre, Enrico III d'Inghilterra, poteva ammirare un'elefante donatogli dal re di Francia. La diffusione dell'immagine simbolica legata all'esotico animale che si ritrova ad Acuto è forse ancora una volta da ricercare nelle ripercussioni che la via Francigena aveva inevitabilmente sul territorio, una via che attraversando l'Europa veicolava uomini e culture mettendoli in contatto.

Visitare Acuto e farsi coinvolgere dalla sua storia (e dai suoi enigmi) costituisce un tuffo nelle vicende di un territorio a volte trascurato, come la Ciociaria, che ha da offrire non solo spunti per approfondimenti storici ma rappresenta uno stimolo alla scoperta di un territorio e dei suoi innumerevoli tesori nascosti... 


Particolare della scena dell'Annunciazione- Stemma di Acuto



Ringraziamenti

E' doveroso rivolgere un sentito ringraziamento al Comune di Acuto, al Sindaco, dott. Augusto Agostini, che mi ha concesso la possibilità di accedere alla chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco. 
Un grazie al consigliere comunale, Sara Cola, per la sua squisita gentilezza e cordialità e per avermi fatto scoprire le bellezze di Acuto.
Infine un ringraziamento allo storico locale Pino Piras per la sua disponibilità nell'espormi i temi delle sue ricerche e fornirmi utili informazioni sulla storia della chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco e su Acuto.


Informazioni

Acuto è un comune della provincia di Frosinone, nella regione Lazio.
La chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco è sita in Viale Roma.
Per visitare la chiesa è possibile contattare il Comune di Acuto: Viale Marconi, 03010 Acuto- FR
Tel. 077556001                 


Bibliografia
C. Cristofanilli- Il Castello e il Borgo Medievale di Monteacuto in Atti del Convegno dei Gruppi Archeologici del Lazio- Roma, 1978.
G. de Francovich- A Romanesque School of Wood Carvers in Central Italy in "The art Bulletin", 19, 1937.
M.G. Fachechi- Sculture in legno- Museo Nazionale del Palazzo di Venezia- Roma, 2011.
M. Pastoureau- Bestiaires du Moyen Age- Parigi, 2011.
G. Pavat- I segreti della chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco ad Acuto in Ciociaria- 2015
M. Ticconi- Acuto. La storia, lo "statuto", gli usi e il costume- Roma, 2003.
















sabato 26 novembre 2016

Tempio di Portuno, Santa Maria di Secundicerio, Santa Maria Egiziaca. Un edificio dalla storia millenaria







Portunalia dicta a Portuno,
cui eo die aedes in portu Tiberino facta et feriae institutae.

Marco Terenzio Varrone, De lingua latina



   Una delle sfide più impegnative che si presenta a chi voglia visitare la Roma monumentale consiste nel cercare di accumulare il maggior numero di siti da visionare nel minor tempo possibile. Un approccio distratto e frettoloso che porta spesso il visitatore a correre da un museo all'altro senza prestare troppa attenzione a quanto incontra lungo il proprio tragitto. Pochi sono coloro che recandosi nel Foro Boario, per l'immancabile foto alla Bocca della Verità, nel portico dell'antica basilica di Santa Maria in Cosmedin, dedicano più di un rapido sguardo ai due templi presenti nella piazza: il tempio a pianta centrale dedicato ad Ercole Vincitore e quello poco distante intitolato al dio Portuno.

Stretto tra i colli dell'Aventino, del Campidoglio e del Palatino ed affacciato sulla riva sinistra del fiume Tevere, il Foro Boario ha rivestito un ruolo determinante fin dagli albori della città. Emporio posto all'incrocio di due importanti tracciati commerciali, quali il Tevere e la strada che collegava l'Etruria alla Campania, in quest'area vennero edificati i primi edifici sacri già sotto Servio Tullio.


Il Ponte Emilio

La costruzione del vicino Ponte Emilio, avvenuta nel II sec. a.C ed attribuita ai censori Marco Emilio Lepido  e Marco Fulvio Nobiliore, portò ad una risistemazione dell'area del Foro Boario: il tempio di Portuno - divinità arcaica romana e nume tutelare delle porte e dei passaggi, la cui festività ricadeva il 17 agosto, occasione in cui avevano luogo i Portunalia- era posto a ideale custodia dello scalo fluviale. Edificato in età repubblicana (IV-III sec. a.C.) e più volte rimaneggiato nel corso dei secoli, l'edificio pseudoperiptero ionico tetrastilo - la facciata del tempio presenta quattro colonne mentre la cella interna incorpora il restante colonnato - è scampato alla distruzione dei secoli grazie alla conversione da tempio pagano in chiesa cristiana, avvenuta nel corso dell' IX sec. d.C.
Durante il pontificato di Giovanni VIII (872-882), un ricco ed influente committente, Stefano secundicerio -giudice palatino- della corte papale, si faceva carico di emendare l'antico tempio pagano per dedicarlo alla Vergine: il tempio di Portuno veniva trasformato nella chiesa di santa Maria di Secundicerio. 
Scarse sono le informazioni relative a questa fase di transizione dell'edificio, il nome stesso del committente è noto solo grazie a  due epigrafi, oggi perdute - ma il cui testo trascritto è giunto fino a noi- in cui il nobile Stefano è indicato come promotore dei lavori di riconversione. Nel corso dei secoli, la chiesa di santa Maria di Secundicerio arrivò a rivestire una rilevanza tale che in occasione della piena del Tevere del 1230, il biografo pontificio, Bernardo Guidone, ricordava i danni derivati da questa al ponte Emilio citandolo come "...pontem autem Sanctae Mariae...", a testimonianza di quanto il vicino tempio cristiano rappresentasse un punto di riferimento per la collettività romana.
Se le notizie circa la sua committenza sono lacunose, i resti degli affreschi, conservati al suo interno, permettono di ricostruire idealmente la ricchezza del progetto iconografico e i richiami stilistici che ne sono alla base. Le scene, che oggi è possibile osservare all'interno della cella, vennero riportate parzialmente alla luce tra il 1921 ed il 1925, in occasione dei lavori condotti dallo storico dell'arte Antonio Munoz, che intraprese interventi di recupero delle strutture originarie del tempio. Celate per secoli dagli apparati decorativi installati nella chiesa durante il '500, le pitture superstiti -una superficie di circa 14 mq- sono incentrate sulle vicende della vita di Maria ed è più che probabile che si sviluppassero lungo tutte le pareti interne, articolate in registri sovrapposti da leggere in senso orizzontale. Opera probabilmente di artisti romani, gli artefici delle decorazioni dovevano avere piena consapevolezza delle esperienze maturate a Roma in campo musivo pur dimostrando un'apertura stilistica verso influenze esterne. In uno dei registri superiori si sviluppavano le storie dei SS. Gioacchino ed Anna e gli episodi dell'infanzia di Maria, tratte dai Vangeli Apocrifi, mentre poco distante veniva raffigurato uno degli episodi di maggior rilievo quali la Dormitio Virginis, estratto dal Vangelo di S. Giuseppe d' Arimatea:  Maria, semidistesa su un giaciglio attende la morte, mentre il Cristo fa discendere su di lei un sonno profondo che precederà la sua ascensione al cielo.


Dormitio Virginis

I riquadri appaiono incorniciati da bande decorate con dischi al cui interno sono racchiusi motivi vegetali e volti, che rappresentano un motivo costante delle pitture superstiti.


Scene della superstite decorazione pittorica


Scene della superstite decorazione pittorica. La sezione superstite
corrisponde all'area parietale ricoperta dai pilastri cinquecenteschi

Alle storie della vita di Maria si aggiungono le vicende di S. Basilio e di S. Maria Egiziaca, decorazione quest'ultima fatta risalire al XV sec. e legata probabilmente alla nuova titolazione dell'edificio che venne conservata fino al 1916. Molti sono gli storici concordi nel ritenere che la scelta della nuova dedica ricadesse sulla santa originaria di Alessandria - la cui vita era stata costellata da eccessi e dissolutezze prima della sua conversione al cristianesimo- per la presenza nell'area del Foro Boario, di numerosi lupanari, che sorgevano in zona già in epoca augustea.

 Nel 1571, il pontefice Pio V (1504- 1572) affidò Santa Maria Egiziaca ai monaci armeni che fino ad allora avevano detenuto la chiesa di S. Lorenzo. Tale mutamento s'inseriva nel piano di realizzazione del ghetto ebraico di Roma, nel cui perimetro l'edificio di S. Lorenzo si sarebbe venuto a trovare. Molte furono le trasformazioni subite da Santa Maria Egiziaca durante i secoli che precedettero la sua definitiva sconsacrazione, avvenuta nel 1916. L'interno, oltre ad essere rivestito da apparati decorativi, la cui installazione contribuì in parte alla salvaguardia di alcune sezioni pittoriche risalenti al X sec., conservava anche una tela di Federico Zuccari raffigurante Santa Maria Egiziaca.
A seguito della sua sconsacrazione, e della sua acquisizione da parte dello stato nel 1959, il  tempio di Portuno è stato oggetto di diverse campagne di scavo e restauro. L'ultimo in ordine di tempo guidato dalla Soprintendenza Archeologica di Roma con la partecipazione del World Monumets Fund, iniziato nel 2006 si è concluso nel 2008.


La chiesa di santa Maria Egiziaca- Incisione di Giovan Battista Piranesi- XIX sec.


Il Tempio di Portuno è visitabile ogni prima e terza domenica del mese dalle ore 9 alle 12.
Indirizzo: Via Luigi Petroselli (angolo via Ponte Rotto), Roma.


Bibliografia
Adam J-P.- Le Temple de Portunus au Forum Boarium- Roma, 1994.
Astolfi F.- Il Tempio di Portuno- Roma, 1998.
Coarelli F.- Il Foro Boario. Dalle origini alla fine della Repubblica -Roma, 1988.
Del Buono G.- Giovanni VIII e le pitture di S. Maria di Secundicerio a Roma: realizzazione artistica di un progetto ecumenico- Roma, 2010.
Hulsen C.- Le chiese di Roma nel Medioevo- Firenze, 1927.
Krautheimer R- Architettura sacra paleocristiana e medievale e altri saggi sul Rinascimento e Barocco- Torino, 1993.
Lafontaine- Desogne J.- Peintures medievales dans le temple dit de la Fortune Virile à Rome- Bruxelles- Roma, 1959
Lanciani R.A.- Roma pagana e cristiana. La trasformazione della città attraverso i secoli, dai temple alle chiese, dai mausolei alle tombe dei primi papi- 1892.
Leoni B.- Il ponte Emilio- 2013.
Munoz A.- Il restauro del tempio della "Fortuna Virile"- Roma, 1925.

lunedì 10 ottobre 2016

Piscina Mirabilis e la flotta di Miseno







Heic illi nobiles portus, Caieta, Misenus
 et tepentes fontibus Baiae,
 Lucrinus et Avernus
 quaedam maris otia.

Lucio Anneo Floro


Così lo storico e poeta Lucio Anneo Floro ( 70 d.C.-145 d.C) ricordava nella sua opera Epitome Rerum Romanorum i porti più importanti siti in territorio campano. Fra questi il ruolo maggiormente strategico era svolto dal porto naturale di Miseno. Posto a pochi chilometri a nord-ovest di Napoli e prossimo all'insediamento greco di Cuma, Miseno rappresentava in passato, e rappresenta tutt'ora, uno dei più bei porti naturali che la regione possa annoverare. Delimitato a nord da Punta Pennata, superstite propaggine di cratere flegreo e dotato di un bacino naturale, conosciuto come Mare Morto, utilizzato come darsena,  Miseno arrivò a rivestire, in età imperiale, il ruolo di principale porto militare di tutta l'area Mediterranea. La sua storia è legata allo sviluppo ed affermazione della potenza della vicina Cuma, ma è sotto l'impero di Ottaviano Augusto che quest'area venne investita di un ruolo determinante: Marco Vipsanio Agrippa ( 63 a.C.- 12 a.C.) approntò qui opere navali durante la guerra civile e successivamente, per volere dello stesso imperatore Augusto, vi fu impiantata la flotta Classis Misenensis poi Classis Praetoria Misenesis, posta sotto il comando diretto dell'imperatore. 
Con l'istituzione della base navale, l'area subì una spinta tale che la portò a mutare le proprie caratteristiche urbanistiche. Delle antiche strutture portuali non resta molto, ma fra le testimonianze superstiti si possono annoverare il teatro di Miseno e la Piscina Mirabilis.

Su di una piccola altura tufacea, in prossimità del porto, venne realizzata, in età augustea, una fra le più grandi cisterne per la raccolta di acqua fredda tuttora esistente: Piscina Mirabilis che rispondeva alle esigenze di approvvigionamento idrico destinato alla flotta ormeggiata nella Baia di Miseno e si ritiene fosse l'ultimo serbatoio dell' Aqua Augusta, l'acquedotto che nascendo dal Serino ne raccoglieva le acque raggiungendo l'area del napoletano ed i Campi Flegrei.
La cisterna è posta nella parte alta dell'abitato di Bacoli, raggiungibile percorrendo una stretta strada costeggiata da abitazioni tra le quali si aprono a volte piccoli giardini di case private. Scarse sono le indicazioni stradali, ma nota a tutti gli abitanti del luogo, sarà possibile ottenere informazioni e arrivare alla meta senza eccessive difficoltà.


Interno del serbatoio. Particolare della scala di servizio

L'accesso al sito è garantito da una scala che permette di superare il dislivello tra l'ingresso e la cisterna, oggi non più in uso e quindi priva d'acqua. Di notevoli dimensioni, con un perimetro rettangolare di 70x25 mt ed una profondità di 15 metri, raccoglieva circa 12600 mc di acqua: la sua struttura, ottenuta scavando nel colle tufaceo, venne edificata sfruttando materiali locali a cui oltre al tufo giallo napoletano si affiancarono pozzolana e cocciopesto misto a scorie pomici, allestendo un edificio che oltre a garantire effettiva funzionalità strutturale presentava una meticolosa cura nel rivestimento interno volto ad assicurare la completa impermeabilizzazione del serbatoio. Sebbene siano stati rinvenuti i fori di immissione idrica, l'assenza di un impianto d'uscita ha fatto ritenere che la raccolta dell'acqua avvenisse attraverso un apertura posta nella copertura, sfruttando probabilmente delle apposite macchine grazie alle quali veniva poi canalizzata verso la base navale.


Piscina Mirabilis. Navata

Colui che visita la cisterna viene quasi trasportato dall'illusione di trovarsi in un antico luogo di culto sotterraneo, in uno spazio coperto da volta a botte e scandito da ben 48 archi poggianti su massicci pilastri, in cui la luce penetra in maniera discreta e suggestiva da alcune aperture poste in alto.


Piscina Mirabilis. Particolare dei pilastri cruciformi

Imponente è l'immagine restituita da questo ambiente articolato in cinque navate lunghe e ben tredici corte con una piccola piscina sita al centro della navata centrale che svolgeva il compito di vasca di decantazione e di scarico per la periodica manutenzione dell'impianto. Piscina Mirabilis rappresenta un tassello fondamentale per chi voglia scoprire la realtà architettonica dell'area flegrea, regalandosi un'esperienza unica e suggestiva...

Capo Miseno

Indirizzo: Via Piscina Mirabile, Bacoli (Napoli).
Il sito di Piscina Mirabilis è visitabile gratuitamente contattando il Comune di Bacoli - tel. 0818553111- e fissando un appuntamento con il custode.


Bibliografia:
AA.VV.- Piscina Mirabilis: characterization of geomaterials- 1st International Conference on Metrology for Archacology. Benevento, Italy, October 22-23, 2015.
Amalfitano P., Comodeca G., Medri M.- I Campi Flegrei, un itinerario archeologico- Venezia, 1990.
Della Monica G.- La piscina mirabile: la cattedrale sotterranea- Bacoli, 1996.
De Rosa L.- La Piscina Mirabilis e l'approvvigionamento idrico della Classis Misenensis  in  Guida geoarcheologica della Costa Campana ad uso dei naviganti- Pappalardo U., Ciardiello R.- Napoli, 2005.
Maiui A.- I Campi Flegrei in Itinerari dei musei, gallerie e monumenti d'Italia- Napoli, 1934.



venerdì 23 settembre 2016

Le basiliche paleocristiane di Cimitile. La devozione come arte attraverso i secoli

 




"Le cimitiére de Nola [...] un centre privilegié
ou se rencontraient les influences les plus diverses."

Emile Bertaux

   Nell'area dell'agro nolano, a pochi chilometri dalla città di Napoli, sorge uno dei siti archeologici cristiani fra i più interessanti del territorio campano: il complesso basilicale di Cimitile.
La sua origine è legata al provvedimento imperiale adottato da Augusto che procedé alla lottizzazione dei territori posti a nord di Nola da assegnare ai suoi veterani. A seguito di tale intervento, nell'area sorsero ville, intervallate dal consueto sistema viario articolato in decumani e cardi. Con la nascita di questo nuovo abitato, tra il II ed il III sec. d.C. iniziò a svilupparsi un'area sepolcrale, lungo l'asse viario nord-sud, costituita da tombe in laterizi e mausolei pagani.
A partire dal III sec. questo luogo principiò ad assumere un ruolo fondamentale per la comunità cristiana locale, e non solo. Il 14 gennaio di un anno imprecisato del 200 d.C, veniva qui sepolto Felice da Nola, sacerdote cristiano (da non confondere con l'omonimo vescovo di Nola, martire del I sec. d.C.).
A Felice spettò il compito di reggere la cattedra vescovile di Nola durante l'assenza del suo titolare Massimo, negli anni della persecuzione contro i cristiani promossa dall'imperatore Decio (201-251).
Se i resti di san Felice trovarono, inizialmente, riposo presso una semplice sepoltura in laterizi con cuscino funebre, la devozione verso la sua memoria assunse ben presto i caratteri di una vera e propria venerazione: tra i fedeli andò diffondendosi il desiderio di essere sepolti accanto al santo, cosa che portò ad un incremento di inumazioni concentrate attorno la tomba di Felice.
Dopo l'editto di Milano, nel 313, con il riconoscimento del principio della libertà di religione concessa a tutti i cittadini dell' Impero, il culto per la tomba del santo nolano trovò piena espressione in una serie di ampliamenti dell'area ed edificazioni di strutture che potessero degnamente custodirne le mortali spoglie. Il vescovo Paolino da Nola (355-431), già governatore della Campania, attuò a Cimitile una vera e propria renovatio dell'area cimiteriale fomentando il culto di san Felice e concorrendo a fare di questo luogo meta di pellegrinaggio. Per suo volere la tomba del santo venne recintata da lastre marmoree e si provvide a realizzare una basilica, detta nova, per differenziarla dalla precedente.

Nel corso dei secoli il coemeterium, da cui probabilmente derivò il nome di Cimitile, subì trasformazioni ed ampliamenti, continuando ad ospitare sepolture, tra cui quelle dei vescovi di Nola e a costituire luogo di pellegrinaggio per i credenti. Su un'estensione di circa 9000 mq, tra l'età paleocristiana e medievale sorsero ben sette edifici di culto, gravitanti intorno alla tomba di Felice e tutti con l'ingresso rivolto a questa. 

La visita al complesso ha inizio dalla basilica di san Tommaso. A sinistra della facciata, dal tetto a spiovente, si erge il campanile con copertura a bulbo, mentre sul lato destro sono ancora osservabili una vasca, probabilmente utilizzata per la conservazione di vino o olio e dei dolia, affioranti dal terreno, anch'essi destinati a contenere derrate alimentari.



La chiesa di san Tommaso, databile tra il VI ed il VII sec., si presenta a navata unica con copertura a capriate. Più volte rimaneggiata nel corso dei secoli, al di sotto del piano di calpestio, è possibile ancora oggi scorgere, attraverso delle grate poste sul pavimento, le antiche sepolture che qui si concentrarono: gli scavi archeologici hanno avuto modo di mettere in luce alcune tombe con corredo, databili tra VI e VII sec. Dell'antica decorazione interna, riconducibile ad epoca medievale, rimane traccia nelle sezioni superstiti di affreschi sulla parete sinistra in prossimità dell'abside, dove si conservano i volti di alcuni santi.

Basilica S. Tommaso. Particolare
Lasciata la chiesa di san Tommaso, il percorso tocca i resti della necropoli risalente al II-III sec. d.C. Protetta da una tettoia ed articolata in più ambienti comunicanti, la vecchia necropoli affianca la cappella dei SS. Martiri.
Edificata per volere del vescovo Leone III, tra il IX-X sec. su un precedente edificio risalente al III sec., l'accesso alla cappella avviene attraverso un protiro con volte a botte sorretto da due mensole su cui è possibile ancora leggere l'inscrizione che rimanda al committente (LEO TERTIVS EPISCOPVS FECIT). Le due mensole, interessanti per l'iscrizione che recano, poggiano su elementi non meno degni di nota, almeno dal punto di vista artistico: due pilastrini ornati a losanghe e motivi vegetali che richiamano lo stile bizantino reggono due capitelli corinzi creando un insieme raffinato ed estremamente interessante. Completa la decorazione dell'ingresso la lunetta del protiro, dove, sebbene sbiadita dal tempo, vi è decorata l'immagine della Vergine con due angeli.


Protiro di Leone III
Cappella dei Ss. Martiri. Particolare dell'inscrizione del protiro


Scesi alcuni gradini ci si ritrova finalmente nella cappella, uno degli ambienti più interessanti dell'intero percorso. Qui vennero ritrovati due arcosoli riconducibili al precedente mausoleo raffiguranti i progenitori Adamo ed Eva e Giona gettato in mare (quelli qui esposti sono copie, mentre gli originali sono conservati all'interno dell'area museale del complesso).


Interno della cappella dei Ss. Martiri

La cappella,  con soffitto voltato a crociera,  venne interamente affrescata ai tempi della sua realizzazione, ospitando al suo interno scene della Passione di Cristo (X sec.), ed immagini di santi ed angeli. Sulla parete sud del vano si aprono, ai lati dell'abside, due nicchie in cui sono raffigurati rispettivamente sant'Eusebio e la Maddalena (XIII sec.).


Cappella dei Ss. Martiri. S.Eusebio


Cappella dei Ss. Martiri. La Maddalena

La basilica di san Felice, fulcro materiale e spirituale del complesso, rappresenta l'espressione della stratificazione susseguitasi nell'arco dei secoli che ha dato luogo ad un edificio che nel suo complesso accorpa elementi di epoche e stili differenti. Entrando nella basilica attraverso un portale con architrave decorato a motivi vegetali datato tra il IX e il X sec., si accede all'atrio della basilica in cui è possibile scorgere già le prime tracce di decorazione pittorica qui conservate. Sulla parete sinistra un albero di Jesse, risalente al XII-XIII sec. è affiancato dalle immagini dei santi Giorgio, Giovanni Battista e Nicola, realizzati intorno alla metà del XIII sec.


Ingresso alla Basilica di S.Felice
                                                                             
Basilica di S.Felice. L'Albero di Jesse
                                                                           
Sulla parete di fronte, un arcosolio, scavato nella parete, ospita, affreschi del XIII sec.: un Cristo, con nimbo gemmato, assiso in trono tra la Vergine e S. Giovanni, occupa la parte centrale della decorazione, mentre di ciò che resta della parte inferiore è possibile riconoscere due religiosi. 
La scena continua nell'intradosso di sinistra dove è raffigurata una processione di chierici sovrastati da un angelo, di maggiori dimensioni, recante un incensiere finemente cesellato. La decorazione dell'intradosso dell'arcosolio è completata un Agnus Dei, posto in corrispondenza del Cristo e circondato da angeli.

Arcosolio nella basilica di S. Felice
                                                                           
Basilica di S. Felice. Particolare della decorazione dell'arcosolio
                                                                               
Agnus Dei

Oltrepassato il protiro realizzato per volere di Leone III, si accede al presbiterio, dove si ritrovano resti di sepolture risalenti al II-III sec. d.C.
In quest'ambiente, sulla parete di un vano laterale, si conserva una Trinità Eucaristica (X sec.) dove è osservabile l'immagine di Cristo ripetuta per tre volte.


Presbiterio

Basilica S. Felice. Trinità Eucaristica

Dal presbiterio si accede al vano con edicola mosaicata, dove in origine era conservato il corpo di san Felice. L'edicola, decorata a mosaici, venne realizzata tra il VI ed il VII sec. A pianta quadrata con tre archi a tutto sesto per lato, sostenuti da colonne e capitelli di spoglio, presenta nella parte superiore i resti di un mosaico dove prevalgono temi vegetali ed animali completati da un'iscrizione che ricorda i miglioramenti apportati all'ambiente, il tutto utilizzando prevalentemente tessere di colore blu, oro, rosso e verde.


Edicola mosaicata ed originaria sepoltura di S. Felice

A sinistra dell'edicola, in un piccolo vano voltato, si apre il Sancta Sanctorum, dove, sebbene in stato conservativo non eccellente è ancora possibile leggere i resti di una decorazione pittorica in cui compaiono diverse scene fra cui probabilmente una consacrazione.


Sancta Sanctorum

Superata l'edicola mosaicata, è possibile raggiungere i sotterranei, attualmente parzialmente adibiti ad area espositiva, dove trovano locazione i reperti rinvenuti in loco durante le campagne di scavo.
Aggirandosi per questi ambienti, oltre a ritrovare vani sepolcrali, si raggiungerà la cappella di san Calionio, anch'essa recante tracce di decorazioni pittoriche d'epoca medievale, tra cui un velario e le immagini dei santi Felice e Paolino. Fra questi cubicoli si conserva un ambiente che la tradizione vuole legato alla storia del martirio di san Gennaro: in uno dei vani infatti si conservano quelli che sono ricordati come il carcere e la fornace in cui il patrono di Napoli subì uno dei martiri sotto l'imperatore Diocleziano.

Lastra marmorea con pavoni affrontanti provenienti
dal pulpito della basilica di S. Felice (XII sec.)

Transenna marmorea proveniente dalla basilica di S. Felice (IX-X sec.)

Transenna con grifoni affrontanti

Accanto alla basilica di san Felice, sorge la piccola cappella dedicata a santa Maria degli Angeli. Della decorazione di quest'ambiente si conserva una Madonna col Bambino e due angeli risalente al XVI sec.

Santa Maria degli Angeli. Affresco

La basilica di san Giovanni, eretta  agli inizi del V sec. per volere di Paolino di Nola, era in origine di dimensioni più vaste rispetto all'attuale. Sensibilmente ridimensionata, oggi presenta un'ampia abside (nella cui fascia inferiore è ancora ravvisabile parte dell'apparato di rivestimento marmoreo) affiancata da due vani a pianta centrale. Anche qui si conservano tracce, seppur labili, di una decorazione pittorica, di cui, nella cappella destra sono ravvisabili le immagine della Vergine col Bambino e di alcuni santi.


Interno della basilica di S. Giovanni

Basilica di S. Giovanni. Particolare degli affreschi

La visita al sito si conclude nella basilica di santo Stefano: a navata unica terminante in un'abside semicircolare, al suo interno si osserva il riutilizzo di materiale di spoglio come le colonne scanalate con capitelli dell'arco trionfale e trecce di labili affreschi. Concentrate nel vano absidale ancora sepolture a testimonianza dell'importanza di farsi inumare in questo luogo.


Interno della basilica di S. Stefano

Il complesso basilicale di Cimitile rappresenta una realtà storico-artistica di fondamentale importanza nella ricostruzione delle vicende della cristianità non solo dell'entroterra napoletano ma dell'intera Campania.
Nel corso dei secoli, questo territorio si è spesso venuto a trovare, sia geograficamente che politicamente, sospeso tra realtà culturali ed amministrative differenti i cui elementi stilistici hanno converso verso quest'area dando luogo ad episodi artistici vivaci e degni di nota, come gli affreschi conservati presso le basiliche di Cimitile dimostrano. La descrizione fin qui offerta non esaurisce tutto quello che il sito può offrire, ma vuole costituire un incentivo alla visita di un luogo la cui storia presenta molteplici ed inaspettate sfaccettature...


Cappella Ss. Martiri. Angelo

Complesso Basilicale Paleocristiano: Via Madonnelle, Cimitile- Napoli.

Bibliografia
Abbate F. -Storia dell'arte nell'Italia meridionale- Roma, 1997
H. Belting -Cimitile: le pitture medievali e la pittura meridionale nell'alto medioevo in "Atti del convegno per il XXXI cinquantenario della morte di S. Paolino di Nola. Nola 1982"- Roma, 1983.
Cantino Wataghin G., Pani Ermini L.- Santuari martiriali e centri di pellegrinaggio in Italia fra tarda antichità e altomedioevo, in ACIAC XII, 1995.
Chierici G.- Cimitile in "Palladio", VII/1, pp.69-73, 1957.
Ebanista C., de Matteis M. - Il complesso basilicale di Cimitile. Patrimonio dell'umanità. Convegno internazionale di Studi. Cimitile, 23-24 ottobre 2004. Napoli, 2005.
Ebanista C., Fusaro F.- Cimitile. Guida al complesso basilicale e alla città. Nuova edizione ampliata e aggiornata. Cimitile, 2005.
Ebanista C.- Cancelli e pilastrini marmorei tardoantichi dal santuario martiriale di Cimitile in Martiri, santi, patroni: per una archeologia della devozione. Atti del X convegno Nazionale di Archeologia Cristiana, a cura di Coscarella A., De Santis P. Rossano, 2012.
Karol D.- I sepolcreti paleocristiani e l'aula soprastante le tombe dei Santi Felice e Paolino a Cimitile/Nola- Marigliano, 1988.
Lehmann T. - Lo sviluppo del complesso archeologico a Cimitile- Boreas 13, 1990.
Paolino di Nola - Epistulae, a cura di G. Hartel- 1894.
Testini P. -Cimitile: l'antichità cristiana in L'art dans l'Italie meridionale. Aggiornamento all'opera di Emile Bertaux, IV, Roma 1978.