lunedì 31 luglio 2017

Il palazzo Caetani di Fondi. La vivacità culturale in una terra di confine






"Lasciando il mare, arrivammo ben presto 
nella sorridente pianura di Fondi.
Questo angolo di terra fertile e ben coltivata, 
racchiuso da montagne non troppo aspre, 
non può non sorridere a chiunque lo percorra."

J.W.Goethe 

   Fin da epoche remote, il territorio di Fondi, posto lungo la via Appia, stretto fra il mare ed i monti Aurunci ed Ausoni, è stato scenario di eventi storici significativi.
Teatro di intrighi, lotte per il potere, conflitti fra papato ed impero, tra medioevo e rinascimento Fondi visse un periodo di straordinaria vivacità culturale, frutto del mecenatismo di quei signori che ne detennero il dominio e che, attraverso le arti, intendevano lasciare la propria impronta sul territorio.
La ridotta distanza che lo separa da Itri e Terracina, nonché la vicinanza con la potente Gaeta, hanno favorito, nel corso dei secoli, l'attiva partecipazione di Fondi alla vita politica del centro-sud: prefettura romana nel III sec. a.C., dichiarata civitas nel 188 a.C., munita di una cinta muraria -di cui alcuni tratti caratterizzano ancora il contesto urbano contemporaneo- è a partire dal medioevo che Fondi iniziò a vivere il periodo più vivace della sua storia. Papa Giovanni X ne affidò il dominio agl'ipati di Gaeta che ne curarono il governo tra i secoli X-XII. Non si hanno purtroppo notizie certe circa le prime dimore che i funzionari bizantini edificarono nell'area fondana, ne quale fosse la loro esatta localizzazione. 
Bisogna attendere gli anni del dominio della famiglia dell'Aquila per avere notizie documentate di un primo edificio adibito a palatium, cellula iniziale su cui andranno, nel corso dei secoli, sviluppandosi il castello ed il palazzo Caetani.
Nel 1299 Roffredo III Caetani (1270-1336), pronipote di papa Bonifacio VIII (1230-1303), sposò Giovanna dell'Aquila, che in qualità di ultima erede di Riccardo conte di Fondi, ne portò in dote allo sposo i territori. Il matrimonio fra i due s'inseriva nella politica espansionista della famiglia Caetani che mirava a creare una strategica rete di possedimenti nel Lazio al fine di poter assumere un ruolo politico di rilievo.
La politica territoriale promossa da Roffredo mirò al potenziamento dell'area grazie anche ad interventi volti al risanamento delle zone paludose che circondavano Fondi, oltre ad un azione di incremento della rete stradale cittadina. E' probabile che già sotto Roffredo venisse realizzata una prima struttura residenziale signorile, se nell'anno della sua morte, sotto il suo erede, conte Nicola, in un documento ufficiale redatto per la stipula di un trattato di pace, si fa menzione del palazzo dicti comitis. 
Un luogo quindi nevralgico per la gestione del territorio che alcuni anni dopo, nel 1378, divenne scenario di un evento dal peso determinante per l'intera cristianità. In quell'anno infatti, Onorato Caetani (1336-1400), invitò presso il suo palazzo di Fondi tutti quei cardinali che si opponevano all'elezione di un nuovo papa di origini francesi, scelta che avrebbe potuto rinnovare l'esperienza di un nuovo allontanamento della curia da Roma già vissuta durante la cattività avignonese. Riunitisi in conclave il 20 settembre, gli alti prelati designarono Roberto di Ginevra (1342-1394) a salire sul soglio di Pietro con il nome di Clemente VII. A seguito dell'elezione che diede avvio al Grande Scisma d'Occidente, il palazzo Caetani assunse il ruolo di residenza dell'antipapa, fatto che contribuì a fare di Fondi un centro nevralgico, frequentato non solo da ecclesiastici ma anche da nobili ed intellettuali. 

Durante la signoria Caetani il palazzo assunse i connotati di centro del potere locale ma ancor più quello di residenza nobiliare, arricchita da apparati decorativi di gusto tutt'altro che provinciale. La locazione geografica di Fondi, posta quasi a metà strada tra Roma e Napoli, nonché il dinamismo politico e l'audacia militare e la vivacità culturale dei Caetani, legati non solo alla città di Pietro ma anche alla Capitale del Regno di Napoli, contribuirono a far giungere nell'area fondana le innovazioni artistiche più alla moda che già diffuse nei due centri. Oggi, a seguito di alterne e spesso sfortunate vicende legate alla sopravvivenza dell'edificio, è ancora possibile osservare alcuni resti del mecenatismo caetano che campagne di restauro inerenti buona parte degli ambienti del palazzo ne hanno reso possibile la fruizione. Fra questi, l'ambiente che suscita maggior interesse è sicuramente la cosiddetta camera picta supra iardenum.
La decorazione superstite fa ritenere che l'ambiente, originariamente coperto da un tetto a spioventi, fosse interamente dipinto secondo un gusto frutto dell'incontro tra cultura gotica e memoria classica. Sul registro inferiore superstite è ancora possibile osservare un finto cornicione ad arcatelle sui cui spicchi vennero realizzate anfore bi-ansante, dalle forme antichizzanti, mentre nelle volte trovano locazione bianchi uccelli ad ali spiegate che potrebbero richiamarsi allo stemma dei dell'Aquila, e quindi essere letti come possibili riferimenti alla casata di Giovanna, sposa di Roffredo. Oltre la finta architettura, una fascia in tre colori è intervallata ritmicamente da dischi con fiori a sei petali. Tale fascia separa le arcatelle inferiori dal registro superiore dove su un fondo in cui prevale il  blu cobalto si dispiega un gioco di carnosi racemi d'acanto e lussureggianti fiori quasi a rendere una preziosa tappezzeria arricchita da immagini di oziosi ed eleganti pavoni. 







In tale tripudio decorativo, però, la scena più interessante si dispiega sulla parete sud-ovest. 
Sebbene molto danneggiata e irrimediabilmente mutila, la decorazione che vi si conserva è interessante non solo perché rappresenta un unicum pittorico nell'area del basso Lazio, ma ancor più per l'enigma che investe l'interpretazione di tale scena.
Inseriti in uno spazio delimitato da colonne tortili sormontate da capitelli corinzi, sei personaggi, di cui uno ormai del tutto perduto, appaiono impegnati in un cortese dialogo. Sulla sinistra, incorniciato in uno stilizzato edificio classico, un sovrano ammantato di rosso, siede solenne sul trono mentre la mano destra è volta ad indicare i suoi interlocutori. 








Fra il sovrano e le tre figure poste sulla destra, in origine vi era un altra immagine virile, di cui resta solo una piccola traccia di un mantello rosso: probabilmente tale personaggio, all'interno della rappresentazione pittorica, assolveva il compito di mediatore tra l'anziano sovrano assiso e l'uomo incoronato che dalla gestualità sembra intrattenere uno scambievole dialogo con il re. L'incedere di questa figura è stata resa con grazia ed eleganza, il suo procedere è quasi rappresentato come un passo di danza, movenze che vengono ripetute dall'uomo del seguito alle sue spalle. 





Sebbene diverse siano state le interpretazioni proposte per questa scena, interessante appare  la tesi avanzata da Mario D'Onofrio, proposta durante il Convegno Internazionale di Studi "Fondi nel Medioevo", tenutosi nel 2013. In tale occasione, il professor D'Onofrio, nell'approfondire lo studio sul ciclo fondano, suggerì l'ipotesi che su tale parete sia stato rappresentato l'episodio virgiliano dell'incontro tra Enea ed il re degli Arcadi, Evandro, cantato nell'VIII libro dell'Eneide - "Allora Enea si rivolge al re con parole amiche:/ Ottimo dei figli di Grecia, a cui la Fortuna/ volle che rivolgessi preghiere e protendessi rami adorni/ di bende, certo non ti temetti come capo di Danai,/ e arcade, e come congiunto di stirpe ai due Atridi;/ ma il mio proprio valore e i santi oracoli degli dei,/ e gli avi consanguinei, e la tua fama diffusa nel mondo,/ mi unirono a te, e mi spinsero volente coi fati." 
Una tale interpretazione si presterebbe ad individuare anche l'identità del personaggio centrale mancante, riconosciuto, pertanto, come Pallante, il figlio di Evandro che condusse Enea dal padre. 
Sconosciuta resta l'identità del maestro che operò in quest'ambiente, sebbene la qualità pittorica esibita faccia propendere per un personaggio dalla matura e composita professionalità, un artista chiamato forse dallo stesso Roffredo, allo scopo di decorare con scene dal chiaro valore simbolico una stanza in cui probabilmente il signore attendeva alle proprie mansioni politiche ed amministrative.

La camera picta non è però l'unico ambiente a serbare tracce pittoriche -oltre ad alcune testimonianze conservate presso la camera dell'oratorio e nella camera prossima il salone di rappresentanza- in una nicchia della sala grande si conservano due immagini poste in  registri sovrapposti: nella lunetta, Cristo, recante il libro aperto, appare ieratico mentre viene incoronato da due angeli, nel registro inferiore un uomo dall'aspetto solenne, vestito con una cotta di ermellino, viene incoronato con l'infula da due angeli. 









L'identificazione del personaggio qui ritratto e la motivazione della sua presenza nella sala grande del palazzo, luogo di rappresentanza designato, ha destato non poche perplessità, fin quando, grazie ad uno studio condotto da Federica Savelli, basandosi su una ricerca operata sui temi araldici, è stato possibile indicare nello sconosciuto  Carlo II Blois-Chatillon (1319-1364) dichiarato beato nel 1369. La presenza di tale richiamo nel palazzo Caetani potrebbe essere riconducibile ai legami che la casata anagnina intrattenne con la casata angioina, riconducibile agli anni di dominio di Onorato I.
Se la politica di Onorato I denuncia i legami con la casa angioina, nel corso degli anni, ed a causa dei rovesciamenti dinastici, i Caetani dimostrarono di essere molto accorti nella scelta del partito a cui associarsi. Già prima del 1464, anno in cui si concluse il conflitto angioino-aragonese per il Regno di Napoli, i Caetani avevano da tempo preso partito per il casato aragonese, dimostrando tale lealtà e spirito di abnegazione, che il sovrano, Ferrante, accordò ad Onorato II il permesso di incrociare il suo stemma a quello di Aragona. Tale episodio lasciò le sue tracce all'interno del palazzo, dove ancora oggi è possibile osservare tale stemma sulla chiave di volta della cappella. 






I contatti con la corte aragonese costituirono ulteriori spinte per il mecenatismo di Onorato II che s'impegnò in una campagna di rinnovamento allo scopo di porre Fondi in una posizione culturalmente, ed artisticamente, al passo con quanto avveniva nelle più raffinate corti d'Italia.
In questo periodo le finestre del palazzo si arricchirono di preziosi ricami in pietra di chiaro stile flamboyant, a cui si accompagnavano arredi lapidei di stile catalano od ancora di matrice fiorentina.
I peducci delle finestre della dimora Caetani conservano ancora le sculture dei suonatori di liuto che si affiancano ad aquile o draghi: richiamo all'arte musicale che ebbe ruolo centrale nelle corti raffinate dei signori nonché posto preminente nella formazione di ogni nobiluomo del tempo. 
I richiami ai fasti di corte palesati in questi elementi lapidei si affiancano a piccoli capricci scultorei, singolarità da ricercare sui davanzali o fra le nervature degli archi, come piccoli topolini o lucertole stese al sole.












Il palazzo Caetani di Fondi è stato recuperato dopo una lungo intervento di restauro che ha dovuto far fronte non solo al normale disfacimento di una struttura antica, ai danni provocati dal secondo conflitto mondiale, ma ancor più alle alterazioni provocate nei secoli da proprietari che non sempre hanno saputo leggere e tutelare un patrimonio che oltre a raccontare tanto della storia locale, si intreccia con la storia dell'interno meridione. Il suo recupero e la fruizione da parte della collettività rappresenta quindi un passo decisivo nel recupero del patrimonio dislocato nelle province.





INFORMAZIONI 

Il Palazzo Caetani è aperto al pubblico.
I prossimi orari di visita:
Nel mese di agosto sarà possibile visitarlo dal martedì al giovedì: 10:00/13:00- 18:00/23:00
                                                                          venerdì, sabato e domenica: 10:00/13:00- 18:00/24:00;
Nei mesi di settembre ed ottobre sarà possibile visitarlo il lunedì, mercoledì, venerdì: 9:00/13:00
                                                                                             martedì e giovedì: 9:00/13:00- 15:00/17:00.

Per visite guidate è possibile contattare Gaetano Visca tel. 3282632805.
Corso Appio Claudio 3, Fondi (Latina)


Bibliografia
A.Acconci (a cura di)- Fondi e la committenza Caetani nel Rinascimento. Atti del convegno (Fondi 24 maggio 2012)-Roma, 2013.
M.Gianandrea, M. D'Onofrio (a cura di)Fondi nel Medioevo- Roma, 2016.
F.Martusciello- La riscoperta di alcune pitture murali nell'ambito dei lavori di recupero del Palazzo Caetani di Fondi in Itinerari della memoria. Fondi: storie di luoghi, uomini e santi- Formia, 2012.
G. Pesiri, P.F. Pistilli (a cura di)- Il Palazzo Caetani di Fondi. Cantiere di Studi- 2012.
S.Vasco Rocca- Il palazzo baronale di Fondi in Fondi e la Signoria dei Caetani. Catalogo della mostra, Fondi 13 giugno-13 settembre- Roma, 1981.


















domenica 16 luglio 2017

Il Barocco italiano nelle collezioni di Spagna. Da Caravaggio a Bernini alle Scuderie del Quirinale



Massimo Stanzione- I sette Arcangeli

   Le Scuderie del Quirinale rappresentano ormai una realtà affermata nel panorama delle iniziative espositive del nostro paese. Frutto spesso di collaborazioni nate con realtà museali non solo italiane ma anche internazionali, le mostre che vi vengono allestite si contraddistinguono non solo per l'innegabile qualità delle opere esposte ma maggiormente per la cura scientifica che presiede alla scelta ed all'allestimento delle stesse.
Il 30 luglio avrà termine la mostra "Da Caravaggio a Bernini- Capolavori del Seicento italiano nelle Collezioni Reali di Spagna". Tale allestimento, proposto nel 2016 nelle sale del Palazzo Reale di Madrid, ha lo scopo di presentare in Italia le collezioni della committenza reale spagnola presso artisti italiani del calibro di Bernini, Guido Reni ed ulteriori nomi illustri.
La spinta collezionista dei sovrani quali Filippo II, Filippo III, Filippo IV, Carlo II e Filippo V permisero alla corona di raccogliere una vasta quantità di opere pittoriche e scultoree, frutto dell'eccellenza italiana, sancendo, attraverso i secoli, un'attenzione che andava concentrandosi prima sulla pittura veneta per poi aver modo di indirizzarsi verso le esperienze maturate in terra lombarda, romana e napoletana. 
In tale contesto, un peso determinante fu sicuramente rivestito dalle relazioni diplomatiche che la Spagna intrattenne con l'Italia nei secoli XVII-XVIII, amplificati dai legami politici ed amministrativi con i viceregni spagnoli nel settentrione della penisola e nel napoletano. Rapporti che si traducevano inevitabilmente anche nell'interesse verso gli sviluppi artistici di tali aree.
Le opere che oggi sono esposte al Quirinale rappresentano il lascito che la regina Isabella II, figlia di Ferdinando VII, operò nel 1865 a favore dello Stato spagnolo, curate dal Patrimonio Nacional.

La mostra accoglie il visitatore con la tela di "Salomè con la testa del Battista", opera realizzata da Michelangelo Merisi da Caravaggio. Probabilmente presente fra i beni del viceré di Napoli, Garcia de Avellaneda y Haro, l'opera giungeva in Spagna al ritorno della consorte dell'Avellaneda nel 1656. 
In una scena dove la luce svolge un ruolo dagli spiccati connotati drammatici, la Salomè, sul cui corpo spicca un morbido manto rosso, tiene il vassoio con la testa del Battista fra gli sguardi dei servitori  dove innegabile è il realismo reso nel volto della vecchia serva.


Michelangelo Merisi da Caravaggio- Salomè con la testa del Battista


Seguendo il percorso espositivo ci si lascia trasportare dall'estasi emotiva dei santi di Jusepe de Ribera, le cui opere qui presenti - San Francesco d'Assisi si getta in un roveto; San Girolamo in meditazione; San Girolamo Penitente; Giacobbe ed il gregge di Labano- restituiscono tutta la consapevolezza di una committenza matura e raffinata.



Jusepe de Ribera- Giacobbe ed il gregge di Labano (part.)

Jusepe de Ribera- San Girolamo penitente (part.)

Jusepe de Ribera- San Francesco d'Assisi si getta in un roveto (part.)

I temi sacri rappresentano l'argomento predominante nelle opere presenti, sebbene non si palesino come scelta esclusiva. Fra le tele infatti compaiono anche ritratti, come quello realizzato da Giovanni Baglione il quale eseguì l'immagine di entrambi i profili di una fanciulla che sembrano quasi richiamare il ricordo di antichi camei. 


Giovanni Baglione- Ritratto di giovane di profilo

Ampio spazio è lasciato alla committenza di opere scultoree tra cui, senza ombra di dubbio, spicca il Cristo Crocefisso eseguito da Gian Lorenzo Bernini tra il 1652 ed il 1655. Commissionatogli dal sovrano Filippo IV, ed acquistato dall'ambasciatore di Spagna a Roma, questo Crocefisso rappresenta un unicum nella produzione berniniana, in quanto unica scultura in bronzo ed autonoma realizzata dall'artista, il Cristo nel suo abbandono è privato finanche della croce. 
Il genio del Bernini si palesa qui nell'esecuzione di un'opera di apparente semplicità ma di spiccata carica emotiva che cattura indiscutibilmente lo sguardo dell'osservatore. 


Gian Lorenzo Bernini- Cristo Crocefisso

Gian Lorenzo Bernini- Cristo Crocefisso (part.)

Attraverso le sale in cui è ancora possibile ammirare opere di artisti quali Alessandro Algardi, Mattia Preti e Giacinto Colandrucci, si giunge al termine del percorso, dove la carica pittorica di Luca Giordano, resa dalla pronunciata espressività emotiva dei suoi personaggi, si palesa in opere come "L'asina di Balaam" e la concitata scena della "Cattura di Cristo".



Luca Giordano- L'asina di Balaam (part.)


Luca Giordano- La cattura di Cristo (part.)


La mostra  presenta ulteriori opere, che si è voluto qui deliberatamente omettere, al fine di non togliere il gusto della scoperta al visitatore che si appresterà a percorrerla, avendo l'opportunità di cogliere l'essenza di questo evento, testimone della circolazione di idee ed opere che hanno legato due paesi, quali l'Italia e la Spagna in un dialogo scambievole.



In primo piano- Giulio Cartari- La regina Cristina di Svezia



Domenico Montini- Tabernacolo


Bibliografia
AA.VV- Da Caravaggio a Bernini. Capolavori del Seicento nelle Collezioni Reali di Spagna- catalogo della mostra













mercoledì 5 luglio 2017

San Severo di Bardolino. Un ciclo pittorico da scoprire








   Viaggiando sulla Gardesana, attraverso quei comuni più o meno estesi delle tre regioni- Trenitino Alto-Adige, Veneto e Lombardia - che si affacciano sul Garda, è spesso difficile cogliere il reale carattere di questo territorio le cui singole vicende si legano insieme a tracciare una più vasta storia condivisa. 
Sulla riva orientale del lago, ai confini con il più noto paese di Garda, si estende il territorio di Bardolino. Sebbene d'importanza storica secondaria rispetto al proprio confinante, il borgo di Bardolino ha partecipato pienamente alla storia di quest'area attestando così la sua funzione dal punto di vista strategico ed economico. Già i romani avevano intuito le potenzialità di questo territorio, fondamentale sia per la posizione geografica, posto sul tracciato viario che poneva in comunicazione la Gallia Cisalpina e le aree nord-orientali dell'Impero, sia per la prosperità del suolo che si prestava ad uno sfruttamento agricolo determinante per l'economia della regione.
In epoca altomedievale i Longobardi vi stanziarono degli insediamenti di cui restano tracce archeologiche; a loro si avvicendò successivamente la componente carolingia, fase storica in cui Bardolino rientrò fra i "fines Gardenses". I secoli compresi tra il X ed il XII videro garantita una certa autonomia del territorio che sebbene risultasse proprietà diretta degli imperatori godeva un buon margine di libertà, tanto da essere prima annoverato fra le iudiciariae e successivamente assumere la qualifica di comitatus. A riprova dell'attenzione rivolta a questo territorio basta pensare che i castelli posti nell'area gardesana erano meta ambita non solo per gli imperatori ma anche per alti dignitari di corte. Il regime di autonomia venne modificato nel 1193, anno in cui il comune di Verona acquistò dall'imperatore Enrico VI (1165-1197) le aree dei "fines Gardenses", tra cui Garda e Bardolino, centri in cui già da anni era presente la determinante componente ecclesiastica, rappresentata dai possedimenti in loco di monasteri quali San Zeno di Verona, San Colombano di Bobbio e il Santa Giulia di Brescia, il cui peso, oltre che palesarsi in ambito economico si rivelava proficuo dal punto di vista artistico.
I rapporti commerciali che il territorio gardesano intrecciò con i centri di Brescia, Mantova, Trento e naturalmente Verona, uniti alla presenza di una forte componente ecclesiastica nell'area, determinarono la circolazione e ricorso ad orientamenti stilistici che contribuirono a tracciare un percorso per molti versi comune alle diverse realtà amministrative affacciate sul Garda.
In tale panorama andarono sviluppandosi, nel corso dei secoli, episodi artistici degni di nota, frutto di quegli scambi culturali da cui non era escluso l'elemento d'oltralpe.

La chiesa di San Severo a Bardolino, posta sul percorso veneto della Gardesana è testimonianza di tale clima e costituisce a tutt'oggi una delle realtà più enigmatiche che si affacciano sul Garda.
Nel 1884 lo storico Carlo Cipolla (1854-1916) notò tracce di affreschi di epoca medievale in un edificio romanico sconsacrato che si avviava ad essere trasformato in un teatro delle marionette, rischiando di perdere così per sempre il ciclo pittorico che custodiva. All'inizio del XX secolo vennero così avviate le prime campagne di indagine archeologica volte a far luce sulla storia della chiesa di cui i si possedevano scarse notizie.



La chiesa di San Severo, viene citata per la prima volta in un diploma promulgato da Berengario I (850-924) che la concedeva al cenobio di San Zeno a Verona, quindi la chiesa doveva essere già stata edificata nel IX secolo, sebbene nei secoli successivi subisse forti rimaneggiamenti strutturali se non proprio una riedificazione ex novo. Oggi la chiesa si presenta come un ambiente tripartito, diviso da arcate a tutto sesto rette da massicce colonne - in cui si dispiega un effetto cromatico garantito dall'alternanza dell'uso della pietra a strati di laterizio- terminante con abside semicircolare ricostruita dopo il 1750. 
Durante le ricognizioni archeologiche venne riportata alla luce una cripta posta al di sotto della pavimentazione absidale: si trattava di una cripta anulare a doppio ingresso con sostegno centrale e pilastrini di reimpiego, risalenti probabilmente ad epoca carolingia, una struttura poco diffusa in zona, che richiamava non solo ad esempi veronesi ma anche ad episodi del nord Europa, ad ulteriore riprova del dialogo culturale che investiva l'area.


Cripta anulare

Ciò che però costituisce ancora oggi oggetto di dibattito sono i due cicli pittorici conservati sulle pareti della navata centrale, la cui datazione costituisce ancora un'incognita. 
La decorazione pittorica, che si sviluppa in tre registri sulla parete meridionale e su quella settentrionale, si presenta oggi, purtroppo, in uno stato estremamente compromesso. Eppure osservando con attenzione le superfici interne è facile ipotizzare che in origine la chiesa dovesse essere quasi completamente affrescata, infatti, oltre alle scene della navata centrale, guardando gli intradossi ed estradossi degli archi è possibile scorgere fasce a motivi geometrici e stilizzazioni di motivi vegetali.


Navata centrale

Particolare della decorazione dell'intradosso di un arco


Capitello con tema vegetale


Sulla parete meridionale si dispiegano un ciclo con episodi dell'infanzia di Cristo e scene tratte dall'Apocalisse di San Giovanni. Il ciclo cristologico segue quello che è uno sviluppo classico del tema con momenti salienti quali la Natività e l'Annuncio ai Pastori. 
Il ciclo apocalittico si caratterizza per uno spiccato senso narrativo dove prevalente è la solenne drammaticità: tra la Visione di San Giovanni dei Ventiquattro Vegliardi, identificati da un'iscrizione che corre sulla banda superiore in cui è inscritta la scena, si palesa una statica austerità nei volti dei personaggi, distaccati e severi. Diversa invece appare la costruzione scenica che vede l'incedere dei cavalieri che su terrificanti cavalcature travolgono un terzo dell'umanità, colta nell'atto di cadere, quasi a trasmettere la repentinità dell'evento: gli uomini travolti vengono quasi colti di sorpresa mentre sgomento ed incredulità traspaiono dai gesti dei superstiti, sospesi, alcuni, nel tentativo della fuga dinnanzi il pericolo.


I Ventiquattro Vegliardi (part.) 

Lo sterminio di un terzo dell'umanità

Se il tema cristologico ed apocalittico trovava una più che larga diffusione negli apparati decorativi dell'epoca, diverso è il discorso per la decorazione della parete settentrionale, dove nei due registri sovrapposti è rappresentato il tema della Leggenda della Vera Croce sviluppato tracciando le Storie di Costantino ed il Ritrovamento della Croce da parte di Sant'Elena. Le composizioni più suggestive sono sicuramente quelle relative al ritrovamento della Croce sia per la ritmicità sicura che l'artista impresse alla composizione sia per il tentativo di inserire le scene in un contesto ambientale ed architettonico ben composto, ravvisabile nonostante il lacunoso stato di conservazione. 
Nella scena del Supplizio di Giuda dove si narra l'elemento culminante della storia di Giuda Ciriaco, appare Sant'Elena, che interrogati i giudei sul luogo in cui è nascosta la Croce di Cristo, fa porre Giuda, l'unico a conoscere la verità, in un pozzo asciutto per sette giorni, al termine dei quali l'uomo accetterà di confessare il segreto che gelosamente custodisce. Sant'Elena è qui posta all'interno di una struttura simile ad un tabernacolo, sorretto da colonne e culminante in una copertura merlata, mentre gli attendenti, concentrati ad ascoltare gli ordini impartiti dalla madre di Costantino, sono impegnati ad estrarre Giuda dal pozzo.

Supplizio di Giuda

A questa scena segue il ritrovamento delle tre croci sepolte fra le quali nessuno uomo sa indicarequale sia quella del figlio di Dio, riconosciuta, nella scena successiva, perché trasportata presso un uomo defunto su cui opera il miracolo della resurrezione. 


Ritrovamento della Croce

Non si sono conservate notizie circa gli artisti che realizzarono il ciclo di San Severo né tanto meno vi sono notizie circa il committente; è possibile ipotizzare, in ragione della scelta tematica inusuale operata per il ciclo della Leggenda della Vera Croce, che la committenza fosse di rango molto elevato e che probabilmente si prospettasse l'obiettivo di onorare l'impero e la figura dell'imperatore nel contesto gardesano, ma questa non rappresenta altro che un'ipotesi. 
La decorazione delle due pareti si conclude nel registro inferiore, dove fra gli archi della navata vennero realizzati busti di santi inscritti in medaglioni cremisi, decorati da un motivo a finte perline, tema riproposto anche nelle bande che incorniciano le scene della parete nord. Purtroppo questa sezione appare estremamente danneggiata, permettendo l'osservazione di poche sagome i cui tratti fisionomici sono andati perduti.


Santo posto nel registro inferiore

Le differenze fra i due cicli e la diversa ritmicità narrativa che propongono ha fatto ritenere si trattasse di due diversi artisti che con ogni probabilità realizzarono la loro opera durante il XII secolo. Tale tesi è sostenuta ormai dalla maggior parte degli studiosi, nonostante alcuni, nel corso degli anni abbiano cercato di porre in relazione lo stile del maestro della Leggenda della Vera Croce con il pittore che realizzò l'Angelo sulla parete interna dell'abside della navata sinistra il cui linguaggio formale denuncia un più stretto richiamo alla matrice bizantina. San Severo non rappresenta un unicum stilistico isolato nel territorio veronese. I suoi affreschi oltre a denunciare dei parallelismi con alcune scene custodite nella chiesa di San Nazaro e Celso a Verona ed ancor più stringenti vicinanze con la decorazione della pieve di Sant'Andrea di Sommacampagna, posta a pochi chilometri da Verona ed anch'essa inserita in un contesto di circolazione di stili ed orientamenti, traccia anche, come evidenziato da Arslan, richiami stilistici con le miniature della Bibbia di Gerbardo, ora alla Biblioteca Nazionale di Vienna.

Angelo della navatella sinistra

All'interno dell'edificio si ravvisano ulteriori stralci di decorazione pittorica, successivi a quelli fin qui esposti, che per quanto interessanti nel percorso di recupero storico di questa chiesa non riescono a trasmette lo stesso patos suggerito dagli affreschi della navata centrale. 
San Severo è spesso visitata distrattamente dai visitatori, se non ignorata da quanti frettolosamente percorrono la Gardesana verso più note mete turistiche, eppure ancora una volta, i piccoli centri dimostrano di offrire visite stimolanti per chi è alla ricerca di nuove storie...


Santo Vescovo


INFORMAZIONI
La chiesa di San Severo si trova nel comune di Bardolino in provincia di Verona.
Piazzetta San Severo 5.
L'ingresso è gratuito ed è visitabile in ogni giorno della settimana.

Bibliografia
E. Arslan- La pittura e la scultura veronese- Milano, 1943.
E. Arslan- L'architettura romanica veronese- Verona, 1939.
G.P.Brogiolo (a cura di)- Archeologia a Garda e nel suo territorio (1998-2000)- Firenze, 2006.
G.P.Brogiolo (a cura di)- Nuove ricerche sulle chiese altomedievali del Garda. 3°Convegno archeologico del Garda, Gardone Riviera, 6 novembre 2010.
A.M. Caiani- Gli affreschi della chiesa di San Severo a Bardolino- Verona, 1968.
A. Castagnetti-I possessi del monastero di S.Zeno a Bardolino in Studi Medievali 3a serie, XIII, 1972- Spoleto
Y. Christe- Le cycle inédit de l'Invention de la croix à S. Severo de Bardolino. In "Comptes rendus des sèances de l'Academie des Inscriptions et Belles-Lettres, 122 année, N.1, 1978, pp.76-109
F.F. d'Arcais- La pittura nel Veneto: le origini, vol.I- Milano, 2004.
M. Mason- Osservazioni sulla pittura lombarda tra X e XII secolo. Il territorio veronese in Architettutra dell'XI secolo nell'Italia del Nord.Pavia 8,9,10 aprile 2010,  convegno internazionale a cura di A. Segagni Malacart e L.C. Schiavi- Pisa, 2013.
G. Sala- Chiese medievali del Garda veronese. Centro studi per il territorio Benacense- Sommacampagna, 1999.
G. Sala- La chiesa di San Severo a Bardolino nella storia e nell'arte- Verona, 1986.
R. Salvarani (a cura di)- Romanico sul Garda. Atti del convegno, Desenzano del Garda, 11-12 novembre 2000- Brescia 2002.
F.Zuliani- Bardolino in Enciclopedia dell'Arte Treccani.
F. Zuliani (a cura di)- Veneto Romanico- Milano, 2008.