venerdì 27 gennaio 2017

L'abbazia del Goleto. Il fascino di un luogo fra spiritualità e simboli





La controfacciata della chiesa del Vaccaro


   Nel corso del XII secolo, la penisola italiana fu interessata da un processo di rinnovamento monastico che si tradusse spesso nella nascita di nuove comunità religiose e nell'edificazione di aree cenobitiche per ospitarle. Il meridione rappresentò l'area dove questo fenomeno fu particolarmente evidente, dando luogo ad un interessante realtà non solo spirituale ma anche architettonica ed artistica.
In tale contesto s'inserisce la storia dei Verginiani e del loro fondatore san Guglielmo da Vercelli.
La vita del santo, il cui racconto è contenuto in un codice miniato in scrittura beneventana, redatto nel XIII sec. e conservato presso l'abbazia di Montevergine (Av), è incentrata sulla spinta spirituale che alimentò la vita di Guglielmo fin da quando, appena quattordicenne, scelse di abbandonare la nativa Vercelli, per farsi pellegrino, raggiungendo prima Santiago di Compostela  e successivamente Roma.
Nei progetti del pellegrino Guglielmo, però, Gerusalemme rappresentava la meta agognata. 
Viaggiando attraverso il Mezzogiorno, toccando Melfi ed Atella, dove compì il suo primo miracolo guarendo un cieco, Guglielmo raggiunse Ginosa, luogo in cui incontrò Giovanni da Matera. Giovanni, da tempo impegnato nella cura delle comunità cristiane del meridione, dove si dedicava alla fondazione di monasteri, cercò di dissuadere Guglielmo dal suo progetto di viaggio, esponendo al vercellese l'importanza di un impegno attivo nelle aree del sud. Guglielmo declinò, in un primo momento, la proposta di Giovanni, ma rimessosi in cammino, fu assalito dai malviventi. Interpretato quest'evento come un segno divino, Guglielmo ritornò sui suoi passi, scegliendo di seguire il destino preannunciatogli da Giovanni. 
Recatosi ad Atriplada (Av), intorno alla sua figura andarono raccogliendosi donne e uomini desiderosi di votarsi a Dio, il cui numero crescente, ben presto, rese necessaria la costruzione di edifici per ospitarli e di una chiesa dedicata alla Vergine Maria. Era il 1126 e nasceva il santuario di Montevergine. 
A seguito di alterne vicende, Guglielmo riprese le sue peregrinazioni che lo condussero a Sant'Angelo dei Lombardi. Ai piedi del borgo, grazie all'appoggio del vescovo locale e contando sulle risorse ed i terreni messi a disposizione dal signore normanno Ruggero di Monticchio, nel 1133 Guglielmo poté iniziare la costruzione del monastero del Goleto: la primitiva chiesa del Salvatore intorno cui sorsero due chiostri con dormitori ed un'area usata come scolatoio.
Sviluppatosi come uno dei pochi esempi di monastero doppio del tempo, destinato ad ospitare sia una comunità di monache che di monaci, l'abbazia del Goleto rappresentò, per la sua posizione geografica, un luogo di sosta per quanti percorrevano l'Appia diretti verso le terre di Puglia.
Le figlie di alcune fra le famiglie nobili più potenti del mezzogiorno quali i Caracciolo, i Carafa ed i Filangieri vissero la clausura del Goleto, contribuendo a fare del cenobio uno dei luoghi conventuali più famosi del meridione.
Spentosi Guglielmo nel 1142 e sepolto fra le mura del Goleto, l'amministrazione della comunità passò completamente nelle mani delle sue badesse.
Ancora oggi è possibile individuare le tracce delle attività che queste donne perpetrarono all'interno del complesso. L'antico portale del convento, attualmente corrispondente al secondo ingresso, conserva sui suoi stipiti, oltre a delle lastre con leoni rampanti realizzati a bassorilievo, anche un'iscrizione, compromessa dal tempo, dove viene ricordata la badessa Marina, guida del Goleto nella seconda metà del XIII secolo, "In tempore domine Marine abbatisse... et Domini Magistri...".


L'antico ingresso dell'abbazia del Goleto



Particolare della decorazione del portale d'ingresso


L'inscrizione che ricorda la badessa Marina

Nel 1153, il complesso si arricchì, a scopo difensivo, della torre Febronia, dal nome della badessa che ne commissionò la costruzione, ricordata da un'inscrizione posta sull'arco della monofora che affaccia sul chiostro delle monache.
Edificata secondo i modelli di edilizia bellica di matrice normanna, all'interno del tessuto murario della struttura compaiono i resti di materiali di reimpiego provenienti da un mausoleo del I sec. d.C., appartenente ad un primipilo della IV Legio Scythica, Marcus Paccius Marcellus, della tribù Galeria, la cui inscrizione commemorativa è posta sul registro inferiore della torre.
L'edificio ospitava al suo interno due vani sovrapposti dei quali, quello al primo livello appariva coperto da una volta a crociera, mentre il secondo era raggiungibile esclusivamente attraverso l'ala conventuale femminile.


La torre Febronia e l'edificio della cappella di San Luca

Particolare della monofora sulla torre Febronia

Lastre provenienti dal mausoleo di Marco Paccio Marcello inglobate nella torre

Elemento zoomorfo di reimpiego 

Il complesso abbaziale del Goleto si caratterizza per un discreto impiego di materiale lapideo di reimpiego, e non solo, contraddistinto da una decorazione simbolica, il cui significato, a volte, si perde fra le trame di una tradizione ermetica lontana dalla visione contemporanea.
Fra i simboli qui presenti, l'attenzione del visitatore non mancherà di cogliere il serpente che decora il corrimano della scalinata che conduce alla cosiddetta cappella nuova.


Il serpente sul corrimano della scalinata per la cappella
di San Luca

Rappresentato mentre stringe fra gli acuminati denti un pomo, il serpente è posto quasi come muto custode dell'ingresso alla cappella superiore, edificata intorno al 1255 per volere della badessa Marina II, al fine di ospitare le reliquie di san Luca. Molti sembrano essere i richiami alla base del significato del serpente, dalla tradizione vetero-testamentaria fino alla mitologia degli antichi dei.
Al culmine della scala, la cappella nuova rappresenta uno degli spazi artisticamente più rilevanti dell'intero complesso monastico. Coperto da volte a crociera costolonate che scaricano su due colonne centrali, l'ambiente è diviso in due navate speculari. 
La prima caratteristica che si riscontra in questa cappella è sicuramente l'alternanza cromatica tra pietre grigie e rosse, osservabile sia nelle nervature delle crociere, nella struttura delle colonne e nella pavimentazione. Lo scenografico impatto cromatico non rappresenta però l'unica caratteristica del luogo: osservando attentamente le due colonne centrali si scoprono, infatti, alcuni singolari decorazioni come quelle presenti sulla base del capitello prossimo agli altari. 
Fra quattro figure zoomorfe realizzate ad altorilievo, due sono rappresentate nell'atto di mordere la colonna. Dibattuta sembra essere l'individuazione della tipologia di animale rappresentato, seppur in maniera stilizzata, ma ciononostante la scelta formale e simbolica appare singolare.  
Sul capitello della seconda colonna, fra stilizzate foglie d'acanto, emergono due colombe colte nell'atto di abbeverarsi alla medesima coppa, quasi a ricordare gli uccelli del Paradiso.


Interno della cappella di San Luca


Particolare della base di una delle colonne. Cappella di San Luca


Capitello. Cappella di San Luca

Lo studioso francese Emile Bertaux, esaminando la cappella, riconobbe nelle decorazioni dei capitelli, nella lavorazione delle volte e della porta d'ingresso, un chiaro riferimento al monumento simbolo della committenza dell'imperatore Federico II di Svevia: Castel del Monte ad Andria, particolarmente per i rinvii stilistici d'oltralpe. 

Cappella di San Luca. Portale d'ingresso con l'inscrizione riconducibile alla badessa Marina II(part.).

Alcuni storici hanno avanzato l'ipotesi di un nome per l'architetto che realizzò l'opera, indicato in Melchiorre da Montalbano, attivo nella cattedrale di Rapolla (Pz) e nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Teggiano (Sa). Tale tesi però non troverebbe significativi riscontri a sostegno.
All'interno della cappella si conservano ancora labili tracce di una decorazione pittorica in cui vi si leggono  i ritratti di due badesse del Goleto: Scolastica e Marina.


Affresco con il ritratto della Badessa Marina. Cappella di San Luca

Al di sotto della cappella di San Luca, si apre un ulteriore ambiente, a due navate divise da colonne con capitelli decorati; numerose ipotesi sono state avanzate sull'effettivo utilizzo di quest'area, dal possibile uso funerario al semplice passaggio fra vani prospicienti. 


Cappella di San Luca (esterno). Mensola scolpita con volto di donna.

Dopo secoli di splendore, un lento declino avvolse il Goleto, fin quando nel 1506, papa Giulio II (1443-1513) stabilì la chiusura del monastero femminile che si attuò nel 1515 con la scomparsa dell'ultima badessa, Maria. 
La comunità, da quel momento, fu composta esclusivamente da monaci che provvidero, nel '700, a recuperare le fabbriche del convento, danneggiate da numerosi sismi susseguitisi nei secoli, fino a quello che nel 1732 portò alla distruzione della medievale chiesa del S. Salvatore (gli scarsi resti dell'originario edificio sono ancora individuabili nell'area posta fra uno dei fianchi della torre Febronia e l'edificio che ospita la cappella di San Luca). 
Si rese necessaria quindi l'edificazione di una nuova chiesa per il complesso, il cui progetto venne affidato a Domenico Antonio Vaccaro (1678-1745). Inaugurati nel 1735, i lavori si protrassero per dieci anni, dando vita ad una struttura a croce greca con copertura a cupola - oggi crollata- ed arricchita alle pareti da stucchi ed opere d'arte.


L'ingresso alla chiesa del Vaccaro

Con l'avvento al potere di Napoleone Bonaparte, a partite dal 1806, il Regno di Napoli fu affidato a Giuseppe Bonaparte, che nell'anno seguente al suo insediamento sul trono, attuò iniziative di soppressione di alcuni ordini religiosi: con una legge datata 13 febbraio 1807, l'abbazia del Goleto veniva soppressa ed i suoi beni mobili divisi fra le amministrazioni e chiese circostanti. 
L'abbandono di questi luoghi si protrasse per quasi due secoli, fin quando nel 1973, un benedettino, padre Lucio Maria De Marino si stabilì fra quelli che si erano trasformati in ruderi, con lo scopo di recuperare il Goleto alla spiritualità cristiana. 
Il sisma che il 23 novembre 1980 si abbatté sulla Campania devastando l'Irpinia, si ripercosse inevitabilmente anche sull'abbazia del S. Salvatore, producendo il crollo della cupola del Vaccaro ed ulteriori ed inevitabili danni alle strutture.
Dopo il 1980, il complesso è stato oggetto di diverse campagne di recupero, l'ultima delle quali conclusasi nel 2008. Oltre alla riqualificazione strutturale degli edifici conventuali, l'intervento ha permesso il recupero di quelle che in origine erano la sagrestia della fabbrica del Vaccaro e delle cucine del convento, destinate ad essere impiegate come percorso museale.

Dal 1990 l'abbazia del Goleto ospita, fra le sue antiche mura, una comunità dei piccoli fratelli di Jesus Caritas che si ispirano alla figura del beato Charles Eugene de Foucauld (1858-1916), missionario in Africa e studioso della lingua Tuareg.

Benché l'abbazia fondata da San Guglielmo rappresenti per molti un sito di interesse prettamente artistico e culturale, fra le sue mura il visitatore si trova inevitabilmente immerso in un'atmosfera di serena spiritualità che, è bene ricordare, va sempre rispettata, sia in considerazione del luogo che si visita che dell'attività svolta dai religiosi che vi dimorano.


Bassorilievo con il simbolo del centro sacro. Portale d'ingresso


Informazioni
L'abbazia del Goleto si trova nel territorio del comune Sant'Angelo dei Lombardi in provincia di Avellino. E' sita in prossimità della Strada Statale 7 Appia e della Strada Statale 400 di Castelvetere.
Le aree aperte al pubblico sono visitabili in orario diurno.
L'ingresso è gratuito. 

Bibliografia
Aceto F.- Insediamenti verginiani in Irpinia: il Goleto, Montevergine, Loreto- Cava dei Tirreni, 1988.
Bertaux E.- I monumenti medievali della regione del Vulture in "Napoli Nobilissima. Rivista di Topografia ed Arte Napoletana", anno VI, 1897.
Casiello S.- La cittadella monastica di S. Guglielmo al Goleto in "Napoli NobilissimaRivista di Topografia ed Arte Napoletana", vol. XI, fasc. IV-VI, 1972.
Casiello S. (a cura di)- Verso una storia del restauro: dall'età classica al primo Ottocento- Firenze, 2008.
Colantuono A.- Le due cappelle dell'Abbazia di S. Guglielmo al Goleto in Civiltà Altairpina. Rivista di Studi Storici, II, fasc.I-II, 1977.
Di Donato M.- I misteri del Goleto. Viaggio attraverso le simbologie medievali alla scoperta di una affascinante abbazia in un angolo d'Italia. 2013.
Mongelli G.- Storia del Goleto dalle origini ai nostri giorni- Montevergine, 1979.
Panarelli F.- Scrittura agiografica nel Mezzogiorno normanno: la vita di San Guglielmo da Vercelli- 2004.
Penco G.- Storia del monachesimo in Italia: dalle origini alla fine del medioevo- 1995.