venerdì 23 dicembre 2016

Santa Maria la Nova di Napoli. Tra storia, tradizioni e misteri






   All'inizio del XIII sec., nell'area compresa tra il mare e la collina di Pizzofalcone, sorgeva la chiesa di Santa Maria ad Palatium che una leggenda voleva essere stata fondata da San Francesco d'Assisi.
La posizione favorevole occupata dall'edificio francescano e l'ormai inadeguatezza delle preesistenti strutture di Castel dell'Ovo e Castel Capuano, portarono il re Carlo I d'Angiò a scegliere l'area per l'edificazione della sua nuova residenza: Castel Nuovo.
Il sovrano s'impegnava ad indennizzare i frati francescani con una nuova chiesa ed annesso convento che sarebbero stati innalzati poco distanti e che avrebbero avuto il titolo di Santa Maria la Nova, per distinguerla dalla precedente struttura. Con atto ufficiale datato 10 maggio 1279, Carlo I destinava l'area della Regio Albinensis alla costruzione del complesso e lo poneva sotto il patronato regio. Sebbene la fabbrica venisse edificata in puro stile gotico, scarse sono le tracce della struttura originaria, gravemente danneggiata dai sismi che durante il XV e XVI sec. si abbatterono su Napoli a cui seguirono restauri e trasformazioni che ne modificarono definitivamente l'aspetto.
Nel 1596 Giovan Cola di Franco riceveva l'incarico di condurre i lavori. La chiesa venne riaperta al pubblico già nel 1599, benché i lavori si protrassero ancora fino al 1663.
Al fasto artistico di cui si arricchì Santa Maria la Nova si associò l'importanza che il suo Studium andò ad acquisire, divenendo uno dei centri culturali più fecondi che l'Ordine francescano potesse annoverare.
Il complesso rivestì un peso determinate in quanto una delle chiese più importanti che l'Ordine Francescano possedeva in città. Basti pensare che durante il Viceregno, ed almeno fino alla prima metà del '600, i Vicerè, seguendo un rigido cerimoniale di corte, si recavano presso Santa Maria la Nova ad ascoltare la messa officiata in occasione della festività di San Francesco d'Assisi.
Oggi il complesso monumentale di Santa Maria la Nova si presenta al visitatore  come un edificio dal vasto apparato artistico e storico. La chiesa, a navata unica, è un esempio eccellente dell'arte seicentesca. La sua facciata, a due ordini con l'inferiore in piperno, preceduta da una doppia scalinata, presenta un portale ad edicola in cui è inserito un medaglione marmoreo con l'immagine della Vergine con il Bambino, incoronata da due angeli, a ribadire la dedica dell'edificio alla Madre di Dio.



L'interno della chiesa, a croce latina e navata unica, lunga circa 70 metri, presenta al suo interno lo spettacolo dell'opera che vi realizzarono gli artisti che vi operarono. 
Sull'altare maggiore trova scenografica locazione la struttura a marmi policromi progettata da Cosimo Fanzago e realizzata dai suoi collaboratori, Andrea Lazzaro e Giuseppe Pellizza. Arricchito da statue bronzee e lignee, nella sua ancona è inserita l'immagine della Madonna con il Bambino, da alcuni ritenuta opera proveniente dall'antica Santa Maria ad Palatium. Gli affreschi del coro, con storie della Vergine e di Sant'Anna e San Gioacchino, vennero realizzati, a partire dal 1603, da Belisario Corenzio e dai suoi collaboratori.




Lo stile di Belisario Corenzio è riconoscibile anche negli affreschi presenti nelle lunette della cupola sovrastante l'incrocio del transetto, dove sebbene alcune sezioni si presentino in uno stato compromesso, si riesce a percepire il progetto che ne era alla base.




La cupola è preceduta da uno dei soffitti lignei dorati più pregevoli che possano trovarsi in città. Realizzato a cassettoni, è arricchito da 46 tavole dipinte che celebrano in gran parte la figura della Vergine. Le opere vennero realizzate dai maggiori maestri che operarono a Napoli all'inizio del XVII sec., ritrovandovi ancora Belisario Corenzio ma anche artisti del calibro di Francesco Curia, Girolamo Imparato e Fabrizio Santafede.




La navata appare circondata da cappelle, divise da pilastri, commissionate da famiglie notabili, ed arricchite di marmi policromi, affreschi manieristi ed opere di artisti napoletani come il Maestro di Pere Roig de Corella, allievo di Colantonio, il cui trittico con San Francesco, Santa Caterina d'Alessandria e Santa Lucia, adorna la Cappella Pironte.


Cappella Pironte. San Francesco fra Santa Caterina d'Alessandria e Santa Lucia


All'interno della chiesa si apre però una cappella più imponente delle altre, quella dedicata a San Giacomo della Marca (1393-1474), sacerdote marchigiano, molto attivo nella città di Napoli e beatificato nel 1624. Inizialmente realizzata su progetto di Raimo Epifanio, la cappella subì successivi rimaneggiamenti, tra il 1634 ed il 1646, ad opera di Cosimo Fanzago. 
La volta ospita affreschi con le vicende della vita di San Giacomo, realizzati da Massimo Stanzione che eseguì anche la decorazione pittorica per la volta della Cappella d'Aquino di Casoli, con la scena di San Diego d'Alcalà che bacia il piede di Cristo, inserita in una volta dorata e riccamente decorata a cui fanno da cornice putti marmorei.


Volta della Cappella di San Giacomo della Marca. Vita di San Giacomo. M. Stanzione


Cappella d'Aquino di Casoli. San Diego d'Alcalà bacia il piede di Cristo. M. Stanzione

Dal 29 novembre 2016 fino al 29 gennaio 2017, la Cappella  di San Giacomo della Marca ospiterà la mostra presepiale Nativity in the World, patrocinata dal Centro Permanete di Ricerche e Studi sul Presepe Napoletano. Qui vengono esposte opere di diversi artisti del presepe, che ligi alla tradizione presepiale napoletana interpretano il tema della Natività, lasciando spazio, come di consueto alla celebrazione del vivere quotidiano dei vicoli partenopei del XVII- XVIII sec.


S. Principe- Natività in rudere di Tempio

Presepe G. De Martino. Pastori F.lli Sinno


     A. Bifaro, G. Cerulo- Casaro          L. Baia- Natività con Adorazione
                                                               dei Magi- particolare


V. Ammaturo- Cient mestieri



Uscendo dalla chiesa si percorre il deambulatorio del chiostro minore.  E' questo uno spazio le cui volte ed il registro superiore delle pareti sono affrescate con storie di San Giacomo della Marca probabilmente opera di Andrea Leone ed aiuti. Qui si ritrovano anche alcuni monumenti funebri che inizialmente installati all'interno della chiesa furono qui traslati in occasione dei rimaneggiamenti del complesso. 


Chiostro minore

La torre dell'orologio con quadrante maiolicato di Santa Maria la Nova


Fra questi uno in particolare ha ultimamente attratto l'attenzione dei ricercatori. Si tratta della tomba di Mattia Ferrillo, alto funzionario durante il regno di Ferdinando I d'Aragona ed insignito dal sovrano del titolo di Conte di Muro Lucano. Sulla lastra tombale del suo monumento, i cui resti mortali probabilmente si conservano ancora all'interno della chiesa, compaiono alcuni simboli, uno stemma araldico della famiglia Ferrillo, sormontato da un elmo da cavaliere su cui poggia la figura mitologica di un drago a fauci spalancate.


Lastra marmorea del monumento funebre di Mattia Ferrillo


Fra gli studiosi è iniziata da qualche anno la ricerca sulla verità legata a questa lastra tombale ed ai simboli rappresentati su di essa, fomentando la ricerca sulla famiglia Ferrillo e in special modo sulla principessa slava Maria Balsa, giunta orfana a Napoli dai Balcani al seguito di Jorge Skanderberg, despota di Albania e membro dell'Ordine del Dragone, che andò sposa a Giacomo Alfonso Ferrillo, figlio di Mattia. Potrebbe Maria essere figlia di Vlad Tepes III di Valacchia e così giustificare quei simboli sulla tomba di famiglia? Questo è un interrogativo su  cui vertono ancora le ricerche degli studiosi, investendo questo monumento di un'aurea misteriosa.

Attraverso il chiostro si accede all' Antico Refettorio della cui antica decorazione, oltre a piccole tracce, resta l'affresco con la Salita al Calvario, attribuito ad Andrea da Salerno ed un pulpito scolpito addossato alla parete con una Crocefissione e Santi.



Refettorio. Salita al Calvario (part.). Andrea da Salerno (att.)

Pulpito del Refettorio


Numerose sono le opere che questo complesso monumentale serba ancora al visitatore, quasi impossibile elencarle tutte...
Una visita a Santa Maria la Nova è un tuffo nel cuore di Napoli, con la sua storia, le sue tradizioni secolari e i tesori d'arte ineguagliabili.


Informazioni:
Il Complesso monumentale di Santa Maria la Nova si trova a Piazza Santa Maria la Nova 44, Napoli (a pochi metri da piazza Giacomo Matteotti).
L'ingresso al complesso e alla mostra ha un costo di 5 euro.


Bibliografia
A. Antonelli (a cura di)- Cerimoniale del viceregno spagnolo e austriaco di Napoli 1650-1717- Crotone, 2012.
G. A. Galante- Guida Sacra alla città di Napoli- Napoli, 1872.
G. Mascia- L'Accademia di S. Maria la Nova in Napoli- Napoli, 1977.
M. Perrillo- Misteri e segreti dei quartieri di Napoli- 2016.
P. G. Rocco- Il convento e la chiesa di S. Maria la Nova di Napoli nella storia e nell'arte- Napoli, 1927.
N. Spinosa, G. Cautela, L. Di Mauro, R. Ruotolo (a cura di)- Napoli Sacra. Guida alle chiese della città- Napoli, 1993.





giovedì 8 dicembre 2016

Acuto. Alla scoperta della chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco

  





  Lungo la strada che conduce da Anagni a Fiuggi, adagiato su di un'altura affacciata sulla Valle del Sacco, sorge il piccolo borgo di Acuto, circondato dai suoi ulivi, con le sue case dai tetti rossi ed i campanili delle chiese a delinearne il profilo. 
Passeggiare fra le sue stradine trasmette l'esatta concezione di quanto il suo passato e la sua storia, testimoniata dalle sue antiche porte, dalle sue chiese, dai resti delle mura di quello che ne fu il castello e le sue torri, coesistano con le strutture moderne, segno di una continuità abitativa che non ha conosciuto interruzioni nel tempo.
Se la fondazione dell'abitato e l'assetto originario del suo castello affondano nell'incertezza storica a causa della mancanza di fonti scritte,  è a partire dall' XI sec. che Acuto trova una prima menzione ufficiale in un Privilegium emanato da papa Leone IX, nell'ottobre del 1051, in cui il pontefice assegnava al monastero di Subiaco le chiese di San Felice e San Quintino, poste nel territorio acutino.
Dall' XI sec. in poi, il castello di Acuto verrà più volte ricordato nella documentazione papale fino ad essere ufficialmente posto sotto la giurisdizione diretta del vescovo di Anagni. 
Il potere esercitato dai vescovi della vicina Anagni contribuì a creare un rapporto simbiotico fra i due territori, basti pensare che il monte Acuto costituì, durante le diverse invasioni barbariche che si abbatterono sulla penisola e sul Lazio nel corso dei secoli, un luogo sicuro in cui i vicini anagnini, ebbero modo di trovare più volte riparo.
Fino al 1920, qui era conservata una statua lignea nota come Madonna di Acuto - oggi esposta al Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma - che la tradizione orale tramandava fosse dono del papa anagnino Bonifacio VIII (1230-1303), al secolo Benedetto Caetani. A prescindere da chiunque ne sia stato l'effettivo donatario, la statua è esempio di una qualità scultorea non trascurabile e sebbene le pietre che ne adornano il manto non siano preziose, l'uso di foglia d'oro puro utilizzata per il manto del Bambino, e la perizia tecnica di cui è testimonianza, permettono di inserirla fra gli esemplari più interessanti della scultura lignea medievale nel Lazio.


Madonna di Acuto

La storia di Acuto, posto sul tracciato della via Francigena, presenta molti aspetti delle proprie vicende ancora avvolti da misteri irrisolti, enigmi alla cui risoluzione si dedicano con passione ed impegno gli storici locali, nel tentativo di ricostruire i fatti del proprio territorio e di coloro che ne furono i protagonisti: in questo panorama si inserisce sicuramente la piccola chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco. 


Facciata della chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco

Posta sulla strada che conduce al vecchio abitato, il piccolo edificio, dalle forme esteriori modeste, rappresenta uno degli enigmi della storia di Acuto.
La doppia titolazione al martire Sebastiano - protettore contro le pestilenze- ed al francese Rocco- santo taumaturgo, anch' egli invocato, fin dal medioevo, a tutela dei popoli dal pestilenziale morbo- unitamente alla scoperta di documenti d'archivio che ne fanno menzione, hanno portato gli storici alla conclusione che la sue vicende fossero legate ad un periodo di diffusione del morbo in area ciociara.
Fin qui sembrerebbe di leggere una storia come tante...
E', però, varcata la soglia  che quest'edificio offre a chi la visita un' esperienza del tutto inaspettata, che il passante distratto, magari non particolarmente attratto dalle forme semplici della sua facciata, non potrebbe mai sospettare. 
L'interno della chiesa ospita, infatti, alcuni cicli pittorici riconducibili a periodi e committenti differenti, che si dispiegano nel catino absidale, sulla parete d'altare e su parte delle laterali, con alcune tracce superstiti sulla superficie di controfacciata. 


Interno della chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco

Il ciclo più antico, di datazione certa, è quello posto sulla parete d'altare, dove ai due lati del catino absidale, fra le decorazione a grottesche che fanno da cornice all'abside, compaiono due cartigli in cui è inserita la data 1528.


Datazione degli affreschi della parete d'altare

All'interno di una finta architettura, che richiama le linee dei templi classici, si articolano le scene del ciclo. Nel registro inferiore, partendo da destra, è rappresentato S. Girolamo penitente, mentre sul lato sinistro, un fiero S. Michele Arcangelo è ritratto nell'atto di uccidere il diavolo con la lancia che è nella sua destra, mentre con la sinistra reca una bilancia con la quale è intento alla pesa delle anime. 


San Girolamo penitente


San Michele

E' interessante notare che gli sfondi paesaggistici in cui sono ritratti i due santi sembrino descrivere dei territori tratti dalla realtà, riproponendo, forse in maniera stilizzata, proprio i borghi che era possibile osservare in queste zone nel XVI sec. Fra gli storici locali è stata avanzata la tesi secondo cui, in una di queste rappresentazioni, sia individuabile il borgo di Acuto, riconosciuto per il profilo delle sue torri.


Particolare della scena di San Michele con la rappresentazione di Acuto

Il registro superiore è occupato dalla scena dell' Annunciazione. 
Seguendo il racconto enunciato nel Vangelo di Luca, l'angelo Gabriele, recante dei gigli, annuncia ad una Vergine, rappresentata nell'intimità della propria dimora, il concepimento del figlio di Dio. L'artista che ha realizzato l'opera si attiene qui scrupolosamente a realizzare una scena, inserita in una quinta architettonica di sapore rinascimentale, che rispetti tutti i canoni tradizionali. La giovane Maria è intenta alla lettura presso il suo scrittoio, rappresentato con una decorazione raffinata, sui cui ripiani compaiono anche la clessidra e la candela, mentre Gabriele arriva presso la sua casa avvolto nelle sue vesti leggere. Su entrambe le figure compare lo stemma di acuto, i tre chiodi della croce su fondo rosso.


Angelo Annunciante

Vergine 

Particolare dello scrittoio della Vergine

Il terzo registro è occupato da un finto timpano, in cui due angeli recano uno stemma con una bianca torre a cinque merli sormontata da un galero a dieci nappe. Lo stemma dovrebbe ricondurre al committente dell'opera, probabilmente un prelato che rivestiva la carica vescovile, come farebbero pensare il galero ed il numero ed il colore delle nappe.


Stemma del committente

Nel vano absidale, circondata dai santi titolari della chiesa, San Sebastiano a sinistra e San Rocco a destra, incorniciati da finte lesene decorate a grottesche, la Vergine - realizzata secondo la medesima scala metrica dei santi ai lati- assisa su di un ricco seggio con schienale culminante in una calotta a forma di conchiglia, tiene il Bambino che reca nella sinistra il libro, mentre la destra è in atto benedicente. 


Abside

Nella calotta absidale, Dio Padre, circondato da putti e schiere di angeli musicanti, in una corrispondenza di gesti, riprende l'atto benedicente del Figlio, mentre nella sinistra regge il globo terracqueo. E' stato osservato dagli storici locali, come quest'ultimo appaia tetrapartito ed al suo interno si intraveda una nave in navigazione, in considerazione delle scoperte geografiche delle Americhe, maturate sul finire del XV sec. Gli artisti che furono ingaggiati per eseguire questa decorazione pittorica si dimostrarono consci degli orientamenti stilistici della Roma del XVI sec. e ciò è osservabile non solo nell'uso delle fasce a grottesche che incorniciano le scene rappresentate ma ancor più nei passaggi chiaroscurali e nella resa del panneggio delle vesti di alcuni personaggi come l' angelo Gabriele. 
Se in alcuni brani la resa potrebbe apparire incerta, la realizzazione, nel complesso denuncia una consapevolezza culturale forse giustificata dal ruolo del committente e dei rapporti che , in quanto ecclesiastico, ebbe necessariamente con Roma.


Particolare della decorazione della calotta absidale- Dio Padre con il Globo Terracqueo 


Sulle pareti laterali, nelle immediate prossimità della parete absidale, due rappresentazioni della Madonna con il Bambino e Santi, di qualche anno postume a quelle d'altare, precedono due cappelle decorate intorno al XVII sec., la cui realizzazione dovette avvenire in parte sacrificando quelle preesistenti. 
La cappella settentrionale, la cui esecuzione avvenne per volere della famiglia Giannuzzi Savelli, richiama ancora una volta una struttura classica, qui arricchita con base a finte specchiature marmoree e timpano sorretto da coppie di colonne dorate fra cui, in due finte nicchie, compaiono Re David e Mosè. Nel vano parietale ricorre il tema della Vergine con il Bambino e santi mentre sul timpano, lo stemma dei Giannuzzi Savelli restituisce ai posteri la memoria dei committenti. 


Cappella Giannuzzi Savelli
  
Sulla parete meridionale, una seconda cappella, anch'essa realizzata intorno al XVII sec., se risolve i dubbi sull'artista che la realizzo - Agostino Ludovisi, che vi appose la sua firma- presenta peculiarità che sollevano la curiosità del visitatore. Nella parte superiore della parete, infatti, incorniciata in una finta struttura marmorea, il pittore realizzò un riquadro delle dimensioni di 40x70 cm in cui allineò delle lettere articolate in 11 colonne e 9 righe la cui invocazione "DEO GRATIAS" è leggibile secondo diverse direzioni. Chi fu il committente del palindromo e perché scelse di realizzarlo in posizione elevata, non favorendo quindi un'agevole lettura, è un quesito che non ha ancora trovato risposta.  


Cappella del palindromo


Il palindromo di Acuto

Il palindromo ed il suo sconosciuto committente non sono però gli unici elementi ad aver attratto l'attenzione dei simbolisti. Durante i lavori di restauro dell'edificio, al di sotto degli strati che furono apposti a rivestire alcune sezioni parietali, riemersero quattro croci, inscritte in dischi, non ricollegabili ai cicli dei secoli XVI e XVII. La tipologia della decorazione sembrerebbe rimandare alla simbologia Templare. L'Ordine, però, venne dissolto nel 1314 e se si attestasse l'appartenenza all'ambito Templare delle croci, ciò comporterebbe l'avanzamento di una tesi a sostegno di una datazione medievale per l'edificazione della chiesa.


Tre delle quattro croci riemerse durante il restauro

Poco distante si conserva l'unico elemento scultoreo antico dell'edificio, un catino per l'acqua santa che riproduce la proboscide di un elefante.


Catino per l'acqua santa 

Nei bestiari medievali, all'elefante venivano riconosciute numerose virtù lodate dalla Chiesa. Fra queste spiccavano la pazienza, la carità, il coraggio e l'ubbidienza, considerati exempla per i buoni cristiani e come tale il riferimento zoomorfo troverebbe valenza simbolica nella decorazione dell'acquasantiera.
L'animale non era sconosciuto ai popoli medievali, a tal proposito basti ricordare l'esemplare che Harun al- Rashid, califfo di Baghdad, inviò in dono a Carlo Magno a seguito della sua incoronazione nell' anno 800. Presso la Torre di Londra, inoltre, Enrico III d'Inghilterra, poteva ammirare un'elefante donatogli dal re di Francia. La diffusione dell'immagine simbolica legata all'esotico animale che si ritrova ad Acuto è forse ancora una volta da ricercare nelle ripercussioni che la via Francigena aveva inevitabilmente sul territorio, una via che attraversando l'Europa veicolava uomini e culture mettendoli in contatto.

Visitare Acuto e farsi coinvolgere dalla sua storia (e dai suoi enigmi) costituisce un tuffo nelle vicende di un territorio a volte trascurato, come la Ciociaria, che ha da offrire non solo spunti per approfondimenti storici ma rappresenta uno stimolo alla scoperta di un territorio e dei suoi innumerevoli tesori nascosti... 


Particolare della scena dell'Annunciazione- Stemma di Acuto



Ringraziamenti

E' doveroso rivolgere un sentito ringraziamento al Comune di Acuto, al Sindaco, dott. Augusto Agostini, che mi ha concesso la possibilità di accedere alla chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco. 
Un grazie al consigliere comunale, Sara Cola, per la sua squisita gentilezza e cordialità e per avermi fatto scoprire le bellezze di Acuto.
Infine un ringraziamento allo storico locale Pino Piras per la sua disponibilità nell'espormi i temi delle sue ricerche e fornirmi utili informazioni sulla storia della chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco e su Acuto.


Informazioni

Acuto è un comune della provincia di Frosinone, nella regione Lazio.
La chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco è sita in Viale Roma.
Per visitare la chiesa è possibile contattare il Comune di Acuto: Viale Marconi, 03010 Acuto- FR
Tel. 077556001                 


Bibliografia
C. Cristofanilli- Il Castello e il Borgo Medievale di Monteacuto in Atti del Convegno dei Gruppi Archeologici del Lazio- Roma, 1978.
G. de Francovich- A Romanesque School of Wood Carvers in Central Italy in "The art Bulletin", 19, 1937.
M.G. Fachechi- Sculture in legno- Museo Nazionale del Palazzo di Venezia- Roma, 2011.
M. Pastoureau- Bestiaires du Moyen Age- Parigi, 2011.
G. Pavat- I segreti della chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco ad Acuto in Ciociaria- 2015
M. Ticconi- Acuto. La storia, lo "statuto", gli usi e il costume- Roma, 2003.