sabato 10 novembre 2018

Amaseno. Tesori medievali nella chiesa di santa Maria Assunta






   Addentrandosi in quella parte di territorio laziale che stretto tra i monti Ausoni ed i Lepini scende verso il mare, si ha la possibilità di attraversare una realtà territoriale completamente diversa e distante da quella offerta dalle nostre città; pascoli, coltivazioni e piccoli borghi arroccati su pendii connotano un'area dove il tratto abitativo si combina all'aspetto ambientale in modo da determinarne la tipologia. La Valle dell'Amaseno- al confine tra le province di Frosinone e Latina- deve il suo nome alla presenza dell'omonimo fiume che sgorga dalle sorgenti del Monte Quattordici. La valle ha rivestito, nel corso dei secoli, un'importanza strategica dovuta principalmente al suo ruolo di collegamento fra aree interne e zone costiere; tale caratteristica ha pertanto spesso contribuito a farne teatro di lotte fra poteri contrapposti intenti a conquistarne la supremazia.

San Lorenzo, oggi noto come Amaseno, è uno dei piccoli borghi che costellano la valle. Anche se le sue origini sono nebulose, le prime notizie storiche attendibili lo inserirebbero in quel processo di fondazione di piccole realtà rurali fortificate che si verificò intorno al IX sec. d.C., con lo scopo di raccogliere la popolazione locale e difenderla dalla violenza delle invasioni barbariche e saracene. 
Feudo dei conti di Ceccano, il cui dominio, nel XII sec., poteva contare su ben 14 centri fortificati estesi tra l'area pontina ed il frusinate, Amaseno venne acquisita da papa Onorio II (1060-1130), nel corso di una vera e propria campagna di conquista che il pontefice attuò in queste zone nel 1125. 
Quaranta anni dopo, nel 1165, Amaseno ed i territori circostanti furono ancora scenario di scontri tra l'impero di Federico Barbarossa e le truppe papali guidate da Guglielmo di Sicilia per papa Alessandro III. In tale occasione la furia distruttrice delle truppe si rivelò inclemente, ponendo a ferro e fuoco i piccoli abitati che subirono devastanti danni: in tale occasione venne gravemente compromessa la chiesa medievale dedicata a San Lorenzo di Amaseno, edificio dotato di campanile. La pace di Venezia siglata dall'imperatore nel 1177 pose fine a quel lungo periodo di conflitti di cui i  territori laziali erano stati vittima. Nello stato di insicurezza in cui pertanto versava l'area, il papato intervenne in queste zone attuando un programma di controllo e gestione amministrativa del territorio, favorendo l'avvicendamento tra le comunità benedettine- già precedentemente presenti in sito- ed i cistercensi. 
Innegabile l'impatto artistico che i cistercensi ebbero in tale territorio- a tal proposito basti pensare alla fabbrica dell'abbazia della vicina Fossanova (https://ilcappellobohemien.blogspot.com/2016/05/fossanova-labbazia-nella-valle.html)- il cui influsso culturale si palesò anche nel piccolo borgo di San Lorenzo/Amaseno; infatti le maestranze attive ad Amaseno furono le medesime impiegate anche per l'abbazia di Fossanova.





Dopo le distruzioni perpetrate dalle truppe imperiali nel 1165, in cui il paese perse la chiesa di san Lorenzo, si rese necessaria, per la comunità, la costruzione di un nuovo luogo di culto, questa volta dedicato all'Assunta, consacrato l'otto settembre del 1177, alla presenza dei vescovi di Ferentino, Fondi e Terracina. Innalzata a ridosso delle mura, la chiesa è in prossimità di una delle porte del paese, denominata appunto Porta di Santa Maria.  La sua facciata è caratterizzata da una copertura a salienti che determinano un corpo centrale più alto, corrispondente alla navata centrale e due laterali più bassi, corrispondenti alle navate laterali. Alle tre navate corrispondono tre portali di cui il centrale, sormontato da un arco ad ogiva strombato, poggia su due colonnine inanellate, e sovrastato da un rosone polilobato ad otto petali, inserito in un arco cieco a tutto sesto, anch'esso strombato. Accanto alla facciata, posto in posizione indipendente, s'innalza il campanile, articolato in tre livelli con copertura a cono.







L'ambiente interno si presenta al visitatore secondo una tipica ritmicità cistercense, con arcate ogivali poste su colonne e pilastri a dividere la navata principale dalle secondarie. Il primo elemento che attira l'attenzione del visitatore è costituito dal battistero posto a sinistra del portale centrale. L'area è delimitata da un ciborio con volta a crociera ribassata, delimitato nella parte superiore da una mensola aggettante sorretta da elementi antro-fito-zoomorfi. Originariamente il ciborio era stato realizzato per trovare locazione sull'altare maggiore dove, si ha ragione di credere che fosse sorretto da quattro piccole colonne che contribuivano ad infondere verticalità alla struttura; solo in un successivo momento venne traslato nell'angolo della navata di sinistra, dinanzi la porta detta "pagana". Il ciborio battesimale non rappresenta l'unico elemento architettonico che caratterizza l'ambiente secondo un gusto tipicamente cistercense: tra la navata di sinistra e la centrale, in corrispondenza del terzo pilastro, venne realizzato un pulpito che un'iscrizione posta sull'epistilio ricorda essere stato ultimato nel 1291, contestualmente alle cappelle laterali e all'area absidale. La realizzazione di tale opera va ascritta alla bottega di Pietro Gullimari e figli, maestri privernati molto apprezzati dalla committenza monastica cistercense la cui opera è riscontrabile, per stile ed analogie, anche nella fabbrica di Fossanova.


Ciborio


Particolare della decorazione del ciborio



Il pulpito è caratterizzato da una lineare sobrietà, accentuata dall'uso di pietra calcarea bianca per la sua realizzazione: la cassa, ritmata da cornici a motivi vegetali stilizzati, poggia su quattro colonne con capitelli decorati a motivi fitomorfi e caratteri antropomorfi, e presenta sul lato principale un leggio con un'aquila ad ali spiegate. Fra i capitelli, uno di quelli posti sul lato posteriore si distingue per fattura ed impatto scenico, contribuendo a farlo indicare, da alcuni studiosi, come elemento d'unione tra la decorazione scultorea della collegiata e quella presente nel chiostro della vicina abbazia. Lo stile espresso dal pulpito nel suo complesso, sebbene rappresenti un unicum nel contesto laziale, concorre ad avvicinarlo ad altre esperienze decorative che andarono maturando non solo nelle immediate zone limitrofe ma anche anche nella Campania settentrionale, come nei casi di Caserta e Sessa Aurunca. Un'iscrizione, posta alla base della cassa rimanda alla data del 1291, come anno in cui vide termine la costruzione dell'edificio.



Pulpito







A partire dalla campagna di restauro che interessò la chiesa nel 1925, nell'area absidale tornarono alla luce tracce di affreschi medievali riconducibili a diverse periodi. Sebbene la decorazione pittorica medievale nello spazio presbiteriale appaia eterogenea e lacunosa, alcune sezioni denunciano interessanti rimandi culturali al contesto romano dell'epoca. Partendo dalla volta a crociera è possibile ammirare la decorazione che si è mantenuta più integra: medaglioni in cui si alternano busti di santi ed agnelli ritmano i quattro spicchi della volta, al cui centro è la rappresentazione stilizzata del disco solare. La decorazione della lunetta di destra è purtroppo l'unica superstite di un ciclo che è facile ipotizzare dovesse interessare anche le restanti; sebbene in uno stato conservativo logoro, è ancora possibile leggere la scena dell' Adorazione dei Magi e della Presentazione al tempio. L'attenzione degli storici dell'arte si è particolarmente incentrata su queste sezioni, riconoscendovi un legame con lo stile del primo strato pittorico della navata dell'abbazia di San Nilo a Grottaferrata (Roma), legame che non sarebbe solo stilistico ma potrebbe addirittura attestare ad Amaseno la presenza delle medesime maestranze operanti nel cenobio greco-romano. Eppure nel contesto di Amaseno, l'artista che dipinse le scene sembra essere consapevole non solo dell'esperienza cimabuesca, ma anche degli sviluppi cavalliniani, almeno per quanto concerne l'introduzione di quinte architettoniche che sebbene espresse in maniera più ingenua rispetto agli originali, denunciano pur sempre una consapevolezza culturale verso ciò che andava concretizzandosi nell'ambito pittorico laziale e campano. La realizzazione di queste scene si aggira intorno agli anni precedenti al 1291, data, come già ricordato, riportata nell'iscrizione del pulpito, dove si dichiara che nell'aprile di quell'anno i lavori per la fabbrica dell'Assunta vennero completati ad opera della bottega privernate dei Gullimari, elemento che porta a credere che in quello stesso anno fossero già state compiute le decorazioni pittoriche presbiteriali più antiche.










Nei registri sottostanti, sulle pareti di destra e sinistra, si conservano resti pittorici realizzati successivamente rispetto ai precedenti, a prevalente carattere devozionale e non sempre di qualità pittorica eccellente: sulla sinistra una Crocefissione databile al XV sec., inscritta in una finta architettura ad archi ogivali, è parzialmente perduta, accanto a quest'ultima una Trinità in trono risalente al XVI sec.





La parete di destra venne decorata con un'altra Crocefissione, ormai molto danneggiata, ed una teoria di sante e santi, la cui qualità pittorica denuncia ormai il ricorso ad artisti secondari e non aggiornati sugli sviluppi artistici dei grandi centri. 







Nel corso dei secoli la chiesa seguì la sorte di tutti i piccoli centri della valle. Il paesino di Amaseno venne spesso investito da eventi che ebbero inevitabili ripercussioni anche sull'edificio religioso: rivolte, contenziosi, occupazioni da parte di eserciti stranieri, distruzioni durante il secondo conflitto mondiale lasciarono inevitabile traccia sul territorio e sui suoi monumenti. Ciononostante, la chiesa dell'Assunta costituisce ancora oggi uno dei simboli di questo luogo, simbolo non solo materiale, ma principalmente, testimone storico dell'esistenza di una comunità.




BIBLIOGRAFIA
M.CANCELLIERI- "Amaseno" in Enciclopedia Virgiliana I- p.125- Roma, 1984.
R.CATALDI- Il monachesimo cistercense nella Marittima medievale: storia e arte. Atti del convegno- Abbazia di                                           Fossanova e Valvisciolo, 24-25 settembre,1999- Casamari, 2002.
M.GIANANDREA- La scena del sacro: l'arredo liturgico del basso Lazio tra XI e XIV secolo- Roma, 2006.
G.MATTHIAE- F.GANDOLFO- Pittura romana del Medioevo- (aggiornamento)- Roma, 1987.
C.LO MONACO (a cura di)- L'edificio di culto: codice del territorio. Recuperare per valorizzare- Roma, 2010.
B.MONTEVECCHI (a cura di)- Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII sec.-
L.E.PANI (a cura di)- Le valli dei monaci. Atti del convegno internazionale di studio. Roma-Subiaco, 17-19 maggio 2010-                                         Spoleto, 2012.
L.PLOYER MIONE- La Valle dell'Amaseno e i suoi castelli: analisi di un insediamento- Latina, 1986.



domenica 24 giugno 2018

Villa Campolieto ad Ercolano




Villa Campolieto- Esedra di Luigi Vanvitelli

   Correva l'anno 1738 quando Carlo III di Borbone (1716-1788), sovrano da appena quattro anni del Regno di Napoli e di Sicilia, conquistato dall'amenità dei luoghi posti ai piedi del Vesuvio, diede il via alla costruzione di una sfarzosa reggia nel territorio di Portici, che nelle intenzioni regnante avrebbe dovuto sostenere, con la sua grandiosità, il confronto con i palazzi delle altre corti europee. Prima che l'interesse del sovrano si rivolgesse a questo territorio e ne modificasse, in un certo qual senso, il profilo, l'area aveva una destinazione prevalentemente agricola, caratterizzata da agrumeti e masserie, molte delle quali proprietà di nobili napoletani. 


Reggia di Portici- Facciata sud-ovest


La costruzione della nuova reggia -nonché la condizione di esenzione fiscale garantita nell'area- favorirono un maggior interessamento dell'aristocrazia partenopea per queste zone, che videro sempre più accantonato -ma non del tutto abbandonato- l'aspetto agricolo a favore di una concezione abitativa con prevalenza di ville d'ozio e giardini di lusso. Da quel momento in poi la zona divenne particolarmente ambita dalle più influenti e facoltose famiglie nobili, bramose di assicurarsi la proprietà di terreni prossimi al palazzo del re e da cui godere sia la vista del mare che del Vesuvio. Il fervore edilizio manifestatosi per tutta la seconda metà del XVIII secolo fu tale che nell'arco temporale di alcuni decenni, vennero costruiti ben 122 edifici nobiliari, estesi tra il territorio di Ercolano e Torre del Greco, concentrati prevalentemente lungo la via che assunse la denominazione di Miglio d'oro.

Molte delle ville del Miglio d'oro oggi conservano poco della magnificenza e raffinatezza di un tempo: in alcuni casi appaiono ridotte in stato fatiscente, in altri trasformate in semplici condomini, in cui, fra difficoltà, sopravvivono gli scarsi resti del passato splendore. Queste circostante non investono, fortunatamente, la totalità del patrimonio vesuviano di epoca borbonica, che può annoverare ancora esempi di architetture di pregio scampate alla totale rovina a seguito di campagne di recupero e valorizzazione. E' questo il caso di villa Campolieto.

Tra il 1755 ed il 1757, don Luzio de Sangro duca di Casacalenda (1710-1792) iniziò ad acquistare  terreni in area ercolanense su cui edificare la propria villa d'ozio. La proprietà del de Sangro presentava molte caratteristiche che la rendevano ambita a causa della relativa vicinanza con la Reggia di Portici, l'accesso diretto dal Miglio d'oro, nonché l'invidiabile posizione che garantiva sia la vista del mare che del vulcano. Il progetto iniziale venne affidato in un primo momento a Mario Gioffredo (1718-1785), già responsabile dei lavori per il palazzo dei de Sangro nella capitale del regno, ma nel 1761, a causa di dissidi con il committente, Gioffredo veniva sostituito alla guida del cantiere prima dall'ingegner Michelangelo Giustiniani e successivamente dall'architetto Luigi Vanvitelli (1700-1773) in collaborazione con il figlio Carlo. 
L'edificazione del complesso ebbe un processo molto lungo a causa dei dissidi sorti tra il duca de Sangro ed i suoi vicini nonché per le eruzioni del Vesuvio, verificatesi tra il 1758 ed il 1759 che rallentarono il cantiere concluso solo nel 1773. Sebbene la regia del Vanvitelli si rivelasse fondamentale per imprimere alla struttura quel lessico peculiare di ampio respiro tipico del famoso architetto, la pianta dell'edificio corrisponde al progetto inizialmente stilato dal Gioffredo, in cui si riconosce il proposito di creare una corrispondenza tra spazi interni ed esterni. Il Vanvitelli seppe arricchire la struttura con sapienti elementi dal gusto spiccatamente scenografico come l'esedra ad archi e lo scalone principale che dà accesso all'ampio vestibolo con copertura a cupola. 


Villa Campolieto- Scalone principale


Scalone principale - part.


Villa Campolieto- Vestibolo
La visione spaziale del Vanvitelli contribuì a rendere villa Campolieto una realtà architettonica qualificata da un continuo dialogo tra l'ambiente naturale circostante, che non solo rappresentava una presenza ineludibile ma una componente essenziale dello stesso progetto.  
Vanvitelli, già personaggio culturalmente eclettico e versatile, si occupò di predisporre l'intero programma decorativo della villa chiamando a sé collaboratori del calibro di Jacopo Cestaro, i fratelli Magri e Fedele Fischetti -  già attivo presso i cantieri borbonici della Reggia di Caserta, del Palazzo Reale di Napoli e del Real sito di Carditello (vedi:https://ilcappellobohemien.blogspot.com/2018/01/il-sito-reale-di-carditello-la-delizia.html). 
A partire dal 1770 le sale di villa Campolieto furono arricchite da un composito programma decorativo in cui il richiamo all'elemento paesaggistico sia in senso letterale che allegorico è un tema dominante. 
Dal vestibolo vanvitelliano si ha accesso ad alcuni degli ambienti di rappresentanza del piano nobile come la galleria, affacciata sul mare, sulle cui pareti Fischetti realizzò  scene con divinità, finte statue monocrome e putti festanti, inseriti in finte architetture e bassorilievi la cui realizzazione è da addebitarsi ai fratelli Magri.






 Gli ambienti attigui alla galleria presentano lo stesso richiamo al tema pagano,  scene in cui le divinità rappresentate risultano sempre inserite in raffinate inquadrature a finti bassorilievi ed ornamenti floreali.






Fra queste rappresentazioni a tema mitico si annoverano quelle che Jacopo Cestaro, in collaborazione con i Magri, realizzò nelle volte di due sale in cui affrescò l'Apollo Citaredo e l'Aurora, entrambi racchiusi in eleganti finte cornici immerse in decorazioni a ramage.


Apollo Citaredo- Jacopo Cestaro
                                                                                 
Aurora- Jacopo Cestaro

Cestaro ed i Magri ebbero modo di collaborare anche per il salone di Mercurio e Minerva, sulle cui pareti contrapposte, i pittori realizzarono finti colonnati dalla chiara impostazione scenografica ed in cui sono inserite le immagini di due statue monocromatiche disposte sui rispettivi piedistalli. 



Mercurio- Jacopo Cestaro
Minerva- Jacopo Cestaro


Il pittore Fedele Fischetti fu autore di alcune fra le decorazioni più interessanti presenti nella villa di Campolieto. Oltre alla galleria, l'artista si dedicò agli ornamenti di alcuni ambienti come una piccola camera in cui realizzò scene con putti inseriti in un contesto bucolico.






L'area più interessante della villa è rappresentato dalla sala da pranzo, che, nonostante il crollo della volta e la perdita della relativa decorazione, conserva sulle pareti un ciclo che simula un pergolato immerso in un'architettura molto simile agli esterni della villa stessa, in cui si muovono damine, aristocratici e damerini manierati. Fischetti raffigura scene di ozio con personaggi che giocano a carte, immersi in frivole conversazioni o impegnati in scambi di furtive lettere. In questa sala, più che altrove, appare esplicito l'intento degli ideatori di creare un rapporto costante tra spazi esterni ed ambienti interni che si trasformano in prolungamenti dei primi.










L'importanza attribuita all'ambiente esterno giustifica alcune scelte architettoniche del Vanvitelli che progettò elementi adatti a creare un'armonia tra edificio e paesaggio. Attraversato il portico ad archi, si accede ad una terrazza a pianta circolare da cui si dipartono due rampe di scale ellittiche speculari che terminano nell'area destinata a roseto.



Gli splendori della villa ebbero però vita breve a causa dei frazionamenti a cui l'immobile fu sottoposto già a partire dalla prima metà del XIX sec., declino protrattosi durante il secondo conflitto mondiale con l'occupazione delle truppe americane, e successivamente declinato in un completo abbandono. Il recupero iniziò a partire dal 1977 quando l'Ente delle Ville vesuviane acquistò l'immobile avviando una necessaria campagna di restauro e recupero. 
Oggi villa Campolieto può essere meritatamente annoverata fra le esperienze artistiche più notevoli dell'area vesuviana che nonostante le gravi ed irrimediabili perdite subite conserva ancora il fascino di una storia incancellabile.




INFORMAZIONI
Villa Campolieto è in Corso Resina 283, Ercolano, Napoli.
La villa è raggiungibile dalla stazione circumvesuviana Napoli Piazza Garibaldi, viaggiando in direzione Sorrento. La fermata più vicina alla villa è ERCOLANO MIGLIO D'ORO
Giunti alla stazione di destinazione è possibile raggiungere a piedi il sito percorrendo una distanza di circa due chilometri. 
Usciti dalla stazione Ercolano Miglio d'oro percorrere via Doglie fino all'incrocio con via Emilio Bossa. Proseguire su via Bossa fino a raggiungere l'incrocio con via Alessandro Rossi. Qui svoltare a destra e proseguire fino a Corso Resina, svoltare ancora a destra e proseguire per alcune decine di metri. La destinazione si troverà sulla destra.

BIBLIOGRAFIA
BRANCACCIO S.- L'ambiente delle ville vesuviane- Napoli, 1983.
CARDARELLI U., ROMANELLO P., VENDITTI A.- Ville vesuviane- 1988.
DE SETA C., DI MAURO L., PERONE M.- Ville vesuviane- Milano, 1980.
FICHERA F.- Vanvitelli- 1937.
FIENGO G. - Gioffredo e Vanvitelli nei palazzi di Casacalenda- Napoli, 1976.
SPINOSA N.- Affreschi del Settecento nelle ville vesuviane in "Antologia di Belle Arti", 1, 1977.
PANE R.- Ville vesuviane del Settecento- 1959.




lunedì 30 aprile 2018

Il Castello di Giulio II ad Ostia




   Ad Ostia, di fronte l'ingresso di una delle aree archeologiche più famose in Italia, la massiccia mole di una rocca accoglie quanti giungono qui, interessati a perdersi fra cardi e decumani degli scavi ostiensi. Quella costruzione massiccia, dai mattoni arancioni e la pianta irregolare è nota come il castello di Giulio II. In realtà Giuliano della Rovere -poi papa con il nome, appunto, di Giulio II (1443-1513)- non fu il committente del castello, le cui origini sono bensì più remote, ma fu piuttosto fra quelli che seppe maggiormente caratterizzarne il complesso. 
Dopo la decadenza dell'antica Ostia, accelerata probabilmente dalla perdita dei diritti municipali trasferiti alla vicina Porto durante il IV sec. d.C., la zona visse un'inesorabile decadimento che ne condizionò il calo demografico. La malaria e le zone incolte invasero il territorio, ma la vicinanza al mare, la prossimità con il Tevere e il persistere delle attività di estrazione salina non ne permisero il totale abbandono. Durante il IX sec. con il moltiplicarsi delle incursioni saracene lungo le rotte tirreniche, si rese necessario presidiare l'area che, innegabilmente, rivestiva un  ruolo strategico fondamentale. Sotto papa Gregorio IV (827-844) in questi luoghi venne fondato un piccolo abitato corrispondente approssimativamente all'attuale borgo, identificato con il nome celebrativo di Gregoriopoli, dove si insediarono gli operai delle saline con le loro famiglie.
Il carattere di presidio difensivo iniziò ed esplicitarsi ai tempi del pontificato di Nicola I (858-867) che principiò un'opera di fortificazione dell'abitato, ripreso sotto i papi Gregorio IX (1170-1241) e Bonifacio IX (1350-1404) che aggiunsero torri e mura,  ed ancora Martino V a cui va il merito di aver innalzato una torre circolare, il cui impianto, sebbene rimaneggiato nei secoli, conserva ancora il nome del suo committente. 
Il borgo di Ostia ai tempi dei papi appariva come un vero e proprio avamposto di avvistamento e difesa, un diaframma tra il mare e Roma, oltre che svolgere il ruolo di dogana pontificia per le merci che transitavano sul Tevere.  Il controllo del castello era quindi di fondamentale importanza poiché poteva rivelarsi decisivo non solo nel contrastare attacchi esterni, ma essere strumentale nella lotta politica fra avverse fazioni locali che ambivano all'affermazione del proprio potere.
Nel 1471 salì al soglio di Pietro Sisto IV (1471-1484) sotto cui si aprì una fase dinamica di interventi edilizi nell'area dell'Urbe e nelle zone limitrofe, interessando la stessa Ostia. Qui, il cardinale Guillaume d'Estouteville diede il via ad un progetto di riassetto del borgo che interessò l'area abitativa, la cattedrale, il palazzo episcopale e l'impianto fortificato. Il castello, munito di mura, torri di avvistamento e circondato da un fossato allagato dalle acque del vicino Tevere, andava sempre più assumendo i tratti di un presidio d'importanza politica tutt'altro che secondaria.
Alla morte di d'Estouteville, Giuliano della Rovere assurse al ruolo di vescovo di Ostia, contando sull'appoggio dello zio Sisto IV.




Durante il suo vescovato, la rocca subì decisivi interventi strutturali e decorativi atti a potenziare sia l'aspetto fortificatorio preesistente, ma anche a porre attenzione all'elemento residenziale e di rappresentanza arricchita di raffinati apparati decorativi.
L'architetto Baccio Pontelli, che aveva precedentemente operato presso la corte di Federico da Montefeltro ad Urbino sotto la guida di Francesco di Giorgio Martini, venne chiamato dal pontefice a Roma nel 1482 , ed ingaggiato da Giuliano della Rovere per i lavori della rocca di Ostia: il suo nome compare insieme a quello del cardinale sul portale d'ingresso al castello. Per molti anni diversi dubbi hanno circondato il nome dell'architetto qui attivo che, sulla base di quanto riportato dal Vasari, fu a lungo ed erroneamente identificato con Giuliano da Sangallo. L'iscrizione sull'architrave d'ingresso, scoperta solo nel XIX sec., contribuì, definitivamente, a gettare luce sull'identità, ricordando il maestro come BACCIO PONTELLO FLORENT. ARCHITECTO.



Ostia non rappresentava l'unico baluardo del potere di Giuliano, il quale aveva già provveduto a realizzare una rete di fortificazioni nel Lazio, come Grottaferrata e Civita Castellana.
Nell'approccio progettuale Pontelli dimostrò di aver pienamente acquisito l'insegnamento impartitogli da Francesco di Giorgio, ricorrendo più volte alle direttive tracciate da quest'ultimo nel suo Trattato di architettura civile e militare, prestando particolare cura alla realizzazione del muro di scarpata ed alla sua altezza (rapporto di 2/3 rispetto all'altezza totale, angolo di sporgenza di 76°), alla difesa orizzontale frontale e laterale, alla difesa piombante. Il castello roverasco si configurò come una struttura militare all'avanguardia per innovazioni tecniche, ed essenziale per la locazione strategica di importanza ancor più focale nel momento in cui salì al soglio pontificio Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI, di cui Giuliano della Rovere era acerrimo avversario.  Durante la guerra d'Italia (1494-1495),  nel momento in cui il sovrano francese Carlo VIII discese in Italia puntando verso il sud, la rocca di Ostia, venne assediata dall'esercito napoletano chiamato dal papa a difesa di Roma e strappata a Giovanni della Rovere -fratello di Giuliano- dalla soldataglia comandata da Fabrizio Colonna. Il sopraggiungere delle truppe francesi però rovesciò il primo assetto, costringendo il pontefice a cedere a Carlo VIII il libero passaggio sui territori della Chiesa nonchè alcune fortezze di importanza tattica tra cui la stessa Ostia. Nel 1497 la rocca ritornò nei pieni possedimenti di Alessandro VI che promosse un'azione di recupero del complesso a seguito dei danni riportati durante gli scontri degli anni precedenti. Quando nel 1503 salì al soglio pontificio , Giulio II eliminò ogni traccia delle modifiche apportate dal papa Borgia: al piano terra trovarono locazione i vani di servizio, i piani superiori vennero destinati ad ospitare l'appartamento del pontefice.

Superato l'ingresso principale, da una corte interna a pianta poligonale si aveva la possibilità di accedere sia alle aree di servizio sia agli appartamenti papali. Al pian terreno, fra ambienti adibiti ad usi diversi, si annoverano il bagno cosiddetto "del papa" e le casematte voltate a botte.
Le casematte rappresentano una delle caratteristiche più interessanti della struttura, poiché restituiscono uno degli schemi difensivi più efficienti adottati nel castello: il corridoio veniva intervallato da pareti diaframma -in passato chiuse all'occorrenza da porte- in cui si aprivano, ai lati dei passaggi, feritoie da cui era possibile continuare un'azione di difesa in caso di infiltrazione del nemico in quest'area.

Dal cortile, passato un portale in travertino sormontato dallo stemma papale di Giulio II, si accede ad uno scalone, articolato in quattro rampe voltate, che in origine era completamente affrescato.
Oggi purtroppo parte di quella decorazione appare di difficile lettura a causa del deterioramento di cui è stata oggetto nel corso del tempo, ciononostante, quanto rimane tramanda al visitatore il progetto del pontefice che in questo luogo coniugava la rocca militare alla residenza rinascimentale raffinata e solenne. Negli ambienti dello scalone, fra finte architetture e false cornici eclettiche in stucco, si susseguono grottesche, gruppi di figure ed alcune scene delle fatiche di Ercole. Il richiamo all'eroe mitologico non può apparire casuale, bensì inserirsi in quello che potrebbe essere ritenuto un richiamo simbolico alle imprese condotte dal "papa guerriero", in un parallelismo metaforico tra personaggio storico e figura leggendaria.




Corte interna


Prima rampa scalone Giulio II

Stemma di papa Alessandro VI Farnese

Ercole contro i centauri



Sui nomi degli artisti impegnati nella realizzazione di queste pitture non esiste alcuna certezza assoluta. Il pittore senese Baldassarre Peruzzi aveva già realizzato opere per Giulio II, oggi perdute, e realizzò in collaborazione con il collega Jacopo Ripanda gli affreschi del palazzo dell'Episcopio di Ostia. E' probabile propendere verso una sua possibile presenza anche durante la fase decorativa dello scalone del castello, almeno in fase progettuale sebbene un'altra figura sembri emergere in questi ambienti, quella del pittore Cesare da Sesto, identificato dalla critica per i parallelismi fra alcuni riquadri ostiensi ed un suo taccuino da disegno conservato presso la Morgan Library di New York.


Se gli affreschi superstiti testimoniano dell'aspetto residenziale del castello, questo viene ribadito nell'allestimento museale approntato nelle sale superiori del mastio, dove sono raccolti esemplari di ceramica rinvenuta in loco e databili tra il medioevo ed il cinquecento. 
Alcuni reperti particolarmente preziosi restituiscono sia la raffinatezza della mensa dei potenti occupanti, quanto l'attenzione nella scelta di realizzazioni provenienti da botteghe e luoghi specializzati nella produzione di alta ceramica, come nel caso del piatto da "pompa", opera di artigiani derutesi che nel XVI sec. ne decorarono la sfinge recante lo stemma Piccolomini in blu cobalto ed oro.




Boccale in stile ceramica di Montelupo (XVI sec.)

La metà del XVI sec. iniziò a segnare un lento declino del castello di Ostia, scatenato da due eventi che si rivelarono sfavorevoli. Il primo può essere indicato nella cosiddetta "Guerra del sale" che prese avvio nel 1555 a seguito della decisione impopolare del pontefice Paolo IV di aumentare i dazi sull'importazione di sale che provenivano dal Regno di Napoli. Tale mossa provocò la reazione degli Spagnoli le cui truppe, guidate da Fernando Alvarez de Toledo, duca d'Alba e viceré di Napoli, posero d'assedio il castello costringendolo a capitolare. L'anno successivo, 1557, lo straripamento del Tevere apportò ingenti danni ai baluardi difensivi, mentre il successivo ritirarsi delle acque portò allo spostamento dell'ansa fluviale che venne a trovarsi ben più distante dalla rocca, che perdeva così il suo controllo diretto sul corso del fiume. Negli anni seguenti, la dogana pontificia venne spostata in una diversa sede posta nell'area di Tor San Michele e progettata da Michelangelo Buonarroti e Giovanni Lippi. 


Tor San Michele, Ostia

La perdita del ruolo amministrativo portò il castello verso il degrado, essendo destinato prima a fienile e successivamente a carcere, dopo aver subito un saccheggio ad opera della soldataglia spagnola  ancora nel 1736. Solo a partire dal 1859 iniziarono prime campagne di recupero e restauro del castello che si ripeterono durante il XX sec. per giungere alle ultime campagne realizzate tra il 2003-2008. Il castello ed il borgo di Ostia esercitano un fascino innegabile su chi le visita, dalle sue torri lo sguardo spazia fin verso Roma, in un continuo dialogo che non cesserà mai...




Bibliografia
Chiabò M., Gargano M.- Le rocche alessandrine e la rocca di Civita Castellana. Atti del convegno (Viterbo 19-20 marzo 2001)- Roma 2003.
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