venerdì 18 marzo 2016

Villa San Marco a Stabia. Il tesoro custodito dalla cenere




Ingresso di villa San Marco


    Dimenticate per un attimo i parchi archeologici di Pompei ed Ercolano, con le file alle biglietterie, i venditori di souvenir e sciami di turisti raminghi alla ricerca di scorci caratteristici da immortalare con la propria fotocamera. Questo è un posto diverso, dove poter godere del piacere di una visita rilassante. E' un luogo poco affollato, anche se qui, come a Pompei, Ercolano, Oplonti, il tempo e la storia si sono cristallizzati con l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Qui, a Stabia, la cenere ed i lapilli seppellirono villa San Marco.
 
Oggi Castellammare di Stabia si raggiunge dalla stazione ferroviaria di Napoli grazie ai treni della circumvesuviana che, giungendo alla fermata "Via Nocera", e usufruendo di un servizio di autobus, permettono di arrivare alla villa San Marco sul pianoro di Varano.
Circondato da campi coltivati e piccole abitazioni, si stenta quasi a credere che al termine del malconcio percorso che da via della Passeggiata Archeologica conduce all'ingresso della villa d'otium, possa sorgere uno dei luoghi più eccezionali per lo studio dell'archeologia classica.
 
Scoperta durante il regno di Carlo di Borbone, la villa deve il suo nome ad una cappella dedicata a San Marco che sorgeva in quest'area. Lo scavo venne tenuto aperto per permettere l'asportazione degli affreschi ritenuti di maggior pregio, per poi essere nuovamente interrato.
Solo nel 1950, grazie ad una nuova campagna investigativa, la struttura venne riportata alla luce.
 
La villa è un gioiello considerevole, posto in una zona panoramica, dominata dalla mole del vulcano.
Costruita, nel suo assetto attuale, probabilmente in età augustea, con i suoi 11.000 metri quadri d'estensione, doveva rappresentare motivo di vanto per il suo proprietario, da alcuni indicato nel liberto Narcissus, da altri riconosciuto in un membro della gens dei Virtii, per la presenza in zona di un sepolcro appartenuto a questa famiglia.
 
La visita, una volta discesi i gradini che separano l'attuale livello stradale dall'ingresso del complesso, ha inizio in un vasto ambiente al cui centro domina la tipica vasca adibita alla raccolta delle acque piovane, l' impluvium. Nella medesima sala, sulle cui pareti restano tracce pittoriche di quella che doveva essere una vasta decorazione, si apre una nicchia dal fondo curvo, decorata con finte specchiature marmoree, sulle cui mensole trovavano locazione le immagini dei larii, divinità domestiche protettrici della famiglia e della dimora.
 
 
Impluvium nell'atrio d'ingresso
 
Centauro- Resti di affreschi dell'atrio
 
Larario
 
 
La villa è composta da innumerevoli ambienti, divisi in aree di rappresentanza, stanze -cubicula- private ed ambienti di servizio. Parte di questi vani è chiusa al pubblico, ma ciò che è aperto alla visita permette di immergersi nella vita di un'antica residenza romana. Così, continuando il percorso, oltre a scoprire la sezione termale con il tepidarium, calidarium e frigidarium, sale in cui  fare bagni e dedicarsi alle cure del corpo sfruttando un percorso composto di ambienti riscaldati a diverse temperature, è possibile visitare anche le cucine che conservano ancora i piani di lavoro, il cui bancone in muratura poggia su archi utilizzati per riporre materiali di pronto impiego.
 
 
Vano tetrastilo del calidarium
 
 
 
Cucine
 
 
Uno degli spazi più suggestivi del percorso è costituito dal porticato del peristilio inferiore e dalla piscina, arricchita da un ninfeo, ampliati entrambi in età claudia. Le dimensioni e la grandiosità di quest'area sono tali da avvicinarla all'equivalente spazio della piscina della villa dei Papiri di Ercolano e della villa di Poppea ad Oplonti. Il vasto portico qui abbraccia un giardino che prima dell'eruzione vesuviana ospitava due filari di platani di cui si conservano i calchi delle radici.
Da analisi condotte su queste si è potuto stabilire che nel 79 d.C, quattro di questi alberi avevano 75 anni, mentre due risalivano almeno a 105 anni prima.
A sud la piscina è delimitata da una parete curva, scandita da otto nicchie decorate con stucchi a bassorilievo rappresentanti divinità.
 
 
Porticato del peristilio inferiore
 
Decorazione del porticato del peristilio inferiore
 
Ninfeo


Nicchia del ninfeo
 
 Grande doveva essere la ricchezza ed il potere del proprietario di questa dimora, attento alle mode, all'arte come ostentazione e status symbol. Gli ambienti di rappresentanza della sua residenza appaiono tutt'oggi di una magnificenza straordinaria, nonostante la traslazione di molti affreschi in epoca borbonica, i danneggiamenti provocati dal terremoto del 1980 e l'inevitabile usura del tempo.
Fra queste sale, dominate in prevalenza dal color rosso pompeiano, ci si ritroverà a scoprire pitture a tema mitico, naturalistico o semplicemente decorativo. Affascinanti appaiono le immagini di Perseo in atto di mostrare la testa di Medusa o la giovane Ifigenia recante il Palladio che adornano le pareti di un cubicolo o ancora Eros recante un piatto d'oro, che sebbene in condizioni conservative meno buone delle precedenti esercita una sorta d'incanto su chi l'osserva.
 
Perseo con la testa di Medusa (part.)
 
 
 
Ifigenia recante il Palladio
 
 
 

Amore recante un piatto d'oro

 
 
 

Particolare naturalistico della decorazione di un cubicolo

 
 Tanti ancora ed innumerevoli sono le attrattive di questo sito, elencarle con dovizia didascalica non  contribuirebbe a rendere la bellezza percepibile solo attraverso una visita, sospesa tra eccellenze artistiche ed un panorama mozzafiato che tutto il mondo ci invidia.
 
 
Il Vesuvio dal grande peristilio
 
 
Testi consultati
 
A. Barbet, P. Miniero (a cura di)- La villa San Marco a Stabia- Ecole Française de Rome, Roma 1999.
T. Terpstra, L. Toniolo, P.Gardelli, Campagna di scavo APAHA 2011 a Villa San Marco, Stabiae. Relazione preliminare sull'indagine archeologica. Rivista Studi Pompeiani XXII, 2011.


sabato 12 marzo 2016

L'antica Cora









"Mira che gioventú, mira che forze

mostran, solo a vederli. 

Appo costoro

quei che son là di quercia inghirlandati,

di Gabi, di Nomento e di Fidene

parte propagheranti il picciol regno,

parte su' monti il tempio ti porranno

d'Inúo, e la terra che da lui dirassi,

e Collazia e Pomezia e Bola e Cora;

ché questi nomi allor quei luoghi avranno

ch'or ne son senza." 


Eneide, canto VI



 Così, Virgilio affidava alle profetiche parole d'Anchise, la storia della mitica fondazione degli antichi e più vivaci centri del basso Lazio che avrebbero visto le loro vicende dipanarsi attraverso i secoli. Fra questi l'antica Cora, oggi Cori, colonia latina in terra dei Volsci.



Carta del basso Lazio (part.) presso la Galleria delle carte geografiche-
Roma, Musei Vaticani

Percorrendo il tragitto che dalla statale Pontina attraversa la cittadina di Cisterna, fra salite circondate da uliveti, si raggiunge l'antico abitato di Cori, posto su di un'altura affacciata sull'Agro Pontino.

Dominato alla sommità dai resti del tempio d'Ercole (II sec. a.C.), il centro storico conserva i tratti dell'assetto urbanistico medievale, dove caratteristiche stradine e scorci panoramici contribuiscono a renderlo un luogo tipico con i suoi siti d'interesse storico ed artistico.

La chiesa ed il convento di Sant'Oliva- oggi sede del Museo della Città e del Territorio- sono sicuramente fra i luoghi più rappresentativi del comune di Cori, sia per la posizione rilevante all'interno del contesto urbano - posti su di una piazza dal suggestivo affaccio panoramico- sia per l'uso sacrale dell'area perpetratosi nei secoli: la struttura medievale di Sant'Oliva, infatti, venne innalzata nel XII sec. sui resti di un precedente edificio sacro che alcuni vorrebbero intitolato al dio Giano.
Il campanile medievale è uno degli elementi caratterizzanti la facciata della struttura su cui si aprono i portali della basilica di Sant'Oliva e dell'attigua, ad essa comunicante, cappella del SS. Crocefisso.



Facciata della chiesa di S.Oliva


Dedicata ad Oliva di Anagni, santa vissuta nel V sec., la chiesa si articola in tre navate coperte da volte a crociera ogivale, in cui è stato fatto largo uso di materiali di reimpiego, quali colonne, capitelli e materiali lapidei, attinti da antichi siti.



Interno di S.Oliva

L'interno della chiesa, di austera semplicità, intervallato dalle massicce colonne, presenta alcune decorazioni pittoriche riconducibili a differenti periodi. Sull'altare si conservano i resti di un affresco databile alla fine del '400 con S.Oliva tra S. Agostino e Santa Monica.


Altare di S.Oliva

Queste non rappresentano però le tracce pittoriche più antiche osservabili all'interno.
Nella volta della prima navata destra compare infatti l'immagine di Cristo Pantocratore, su fondo blu circondato dalle figure dei quattro evangelisti, per i quali è stata avanzata una datazione che non supera la prima metà del XV secolo.


Cristo Pantocratore

Accanto la chiesa, separata da arcate, si apre la cappella del SS. Crocefisso, a navata unica, la cui volta a botte appare come un tripudio pittorico su cui si dispiegano storie vetero e neo testamentarie e che rappresenta l'elemento di maggior attrattiva del vano, nonostante la presenza della decorazione absidale con Apostoli e l'Incoronazione della Vergine e la parete di controfacciata, anch'essa completamente decorata, con scene del Giudizio Universale.



Cappella SS. Crocefisso


Cappella SS. Crocefisso



Edificata tra il 1467 ed il 1480, la cappella e l'annesso convento agostiniano rappresentano l'apice del programma architettonico promosso a Cori da Ambrogio Massari, generale dell'ordine degli Eremitani e nativo del luogo. La sua dedizione nel perpetrare l' impresa si tradusse non solo nella ricerca di appoggi nelle alte sfere ecclesiastiche, concretizzatasi nel sostegno espresso dal mecenate cardinale Guillaume d'Estouteville, ma si espresse anche nel vivo slancio che l'accompagnò nel curare le problematiche legate alla realizzazione della fabbrica. A Cori poté prendere forma un cenobio che traduceva, nelle sue strutture e decorazioni, la piena consapevolezza dei gusti stilistici ed architettonici del periodo, avvicinando la fabbrica corana ad episodi similari, contemporanei, osservabili in area lombarda.

Chiostro


Santa Monica e Sant'Ambrogio- Lunetta del chiostro

Se il chiostro con i suoi affreschi esprime ariosità ed  un pieno equilibrio architettonico con le sue arcate a tutto sesto, è nella sovrastante loggia che si palesa la peculiarità di quest'area. Aperta su tre lati ed anch'essa scandita dalla ritmicità dell'arco a tutto sesto, qui trova piena espressione l'estro del maestro che vi realizzò i capitelli, tal Antonio da Como, come si evince dal nome apposto alla base di una delle colonne.


Firma del maestro Antonio da Como

I trentasei capitelli della loggia, ognuno diverso dall'altro, alternano a figure antropomorfe, zoomorfe e floreali, figure di santi e maschere demoniache, immagini ammonitive e richiami al potere secolare, espressi dagli stemmi del cardinale d'Estouteville, il tutto espresso con squisito equilibrio plastico.

Loggia, capitello con busto di S. Agostino

Loggia, capitello con busto di S. Monica in preghiera

Loggia, capitello con putto reggi stemma


Oggi, negli ambienti che componevano gli spazi conventuali sono esposti in prevalenza materiali archeologici frutto di scavi effettuati in zona, che spaziano dai reperti d'arte classica ai ritrovamenti di ceramiche invetriate e dipinte di datazione medievale.
Il complesso di Sant'Oliva, nella sua interezza rappresenta una realtà stimolante per chi non solo è alla ricerca di esperienze culturali al di fuori dalle rotte turistiche abituali ma principalmente per chi ha vivo interesse nel prendere coscienza della storia del territorio nelle sue molteplici sfaccettature.


Stemma di Cori. Chiostro di S.Oliva

Testi di riferimento
D. Palombi, P.F. Pistilli (a cura di)- Il complesso monumentale di S.Oliva a Cori- L'età romana, medievale, rinascimentale e moderna. Biblioteca Egidiana Tolentino 2008.
D. Palombi (a cura di)- Cori. La città come museo. Edizioni Teameia Cultura.
Publio Virgilio Marone- Eneide.

Museo di Cori
Tel/fax  0696617243










 


sabato 5 marzo 2016

Centrale Montemartini di Roma. Quando l'antico incontra la macchina




   Sul tracciato della via Ostiense compreso tra la Piramide Cestia e la Basilica di San Paolo fuori le mura, si estende un tratto urbano che a partire dal primo decennio del '900 venne investito da un processo d'industrializzazione che, nell'arco di qualche anno, avrebbe dovuto stravolgere l'area, concentrandovi le principali attività produttive dell'urbe. 

A guardare oggi il quartiere ostiense, affollato di locali e ristoranti etnici, frequentato da studenti universitari ed attraversato da un frenetico quanto ininterrotto flusso automobilistico, si fa un pò di fatica ad immaginare questa zona come il centro industriale della capitale. Ma usciti dalla stazione metro di Piramide e dirigendosi a piedi verso la Basilica di San Paolo, ci si imbatterà nei resti di quel passato che a ben pensarci non è neppur poi tanto remoto: le vecchie strutture che ospitavano i Magazzini Generali, l'area dei Mercati Generali, la torre gasometro della Società Anglo-Romana che fa capolino fra i palazzi... Al civico 106, si apre un vialetto, apparentemente come tanti ma che è diverso da quello delle civili abitazioni, poiché questo è l'ingresso della Centrale Termoelettrica Giovanni Montemartini. Inaugurata il 30 giugno 1912, i suoi impianti e strutture, progettate dagli ingegneri M. Carocci, I. degli Abbati e C. Puccioni, andavano ad inserirsi nel panorama industriale ostiense con l'Edificio Quadro, la Sottostazione e la Torre Hanon: i suoi stabilimenti rappresentavano per l'epoca un esempio in campo tecnologico con la sua produzione d'energia ottenuta dallo sfruttamento combinato del ciclo diesel e del ciclo vapore. 

Visse alterne vicende durante gli anni del regime e della seconda guerra mondiale, ritornando ad operare a pieno ritmo nel periodo dell'occupazione nazista e della successiva liberazione, risparmiato dai danneggiamenti bellici. Abbandonato negli anni '60 del secolo scorso per la sopraggiunta inadeguatezza degli impianti questi vennero riutilizzati a vari scopi,  a partire dal 1989, avviandosi ad essere trasformati in area di archeologia industriale.

Nel 1997 si avvia la collaborazione tra l'Acea ed i Musei Capitolini, trasformando il vecchio stabilimento Montemartini in sede espositiva per le opere di scultura antica.
Attualmente il suo percorso museale si compone di opere che dagli anni della Roma repubblicana coprono i secoli che giungono fino al periodo della Roma imperiale di Augusto, testimoniata dai reperti provenienti dalle residenze patrizie ed imperiali.

La Sala delle Colonne offre un excursus fra materiali frutto di diverse campagne di scavo, quali quelle condotte sull' Esquilino, presso San Lorenzo, a via del Babbuino, quelli emersi durante i lavori di riammodernamento dell'area della stazione Termini ed infine di via Panisperna.
Qui fra urne funerarie, corredi, doni votivi di eccelsa fattura, tracce di affreschi, mosaici provenienti da domus private, ritratti bronzei, si ha la possibilità di cogliere le preferenze stilistiche e di gusto proprie dei romani in età repubblicana.


Rilievo funerario della famiglia dei Benni


Rilievo funerario da via Statilia
                                     



Ritratto di Augusto


L'affresco dei Fabi è testimonianza del valore celebrativo e trionfalistico che i romani riconoscevano all'arte come veicolo di episodi a perpetua memoria. Decoro di una tomba appartenente ad un membro della famiglia dei Fabi, celebra un episodio delle guerre sannitiche risalenti alla prima metà del III sec. a.C. ed anche se lo stato conservativo non appare dei migliori, lo stile narrativo delle scene contribuisce a farne quasi un testo di valore storico.


Affresco dei Fabi


L'eccezionalità dei materiali qui esposti si enfatizza maggiormente con i mosaici provenienti dagli scavi di via Panisperna: scene di fauna marina, papere ed uccelli di un eccelso gusto naturalistico, decoravano la sala di una dimora privata, il tutto reso con uno spirito raffinato ed elegante, degno di un committente di un elevato status culturale ed economico.


Particolare del mosaico di via Panisperna



Particolare del mosaico di via Panisperna


Nella Sala delle Macchine, in uno scenografico allestimento dove gli impianti con le loro sfumature ferrose si combinano alle statue marmoree monumentali creando un ambiente unico e suggestivo, si susseguono opere  dell'età tardo repubblicana: divinità imponenti, copie da originali greci scandiscono il ritmo di questa sala.













La Sala Caldaie, l'ultima sala del percorso espositivo, è dedicata ai reperti provenienti dagli scavi operati sui colli dell' Esquilino, del Quirinale e del Viminale, in occasione dell'espansione urbanistica post-unitaria. 
Il materiale qui esposto pone l'accento su di un periodo che si concentra tra la fine del periodo repubblicano e l'affermarsi del potere imperiale. Mutamenti di gusto e di tendenze si evidenziano nelle opere raccolte in questa sezione, dove si assiste alla piena affermazione di una nuova classe dirigente detentrice di una consapevolezza culturale più matura e raffinata. 
Se l'arte ha sempre rivestito un ruolo centrale nell'affermazione del proprio status sociale, nell'età imperiale assurge a segno inconfutabile del potere economico e politico. 
L'occasione per mettere in mostra tale potere era rappresentato principalmente dalle domus rivestite di ricchi apparati e circondate dagli horti arricchiti da marmi preziosi commissionati ad artisti in voga o fatte giungere dal mercato ellenico. La raccolta di opere qui esposte contribuisce a ben rendere l'idea della coscienza estetica delle classi privilegiate come il vasto mosaico rinvenuto presso la chiesa di Santa Bibiana con scene di caccia che qui occupa l'area centrale del vano caldaie.


Particolare mosaico rinvenuto nei pressi di Santa Bibiana


La visita al museo della Centrale Montemartini si compone di altri innumerevoli pezzi d'eccezione che meriterebbero almeno una menzione, ma si cadrebbe facilmente in un'enumerazione impersonale di reperti che meritano ben altra attenzione come questa realtà museale merita più che una rapida visita. 
Il connubio stabilitosi  tra gli impianti della vecchia centrale termoelettrica ed i reperti archeologici contribuisce a rendere questo museo una delle realtà più affascinanti, nonché scenograficamente coinvolgenti, del panorama capitolino, un episodio che sfrutta a pieno le risorse e la storia che un territorio può offrire.