sabato 27 febbraio 2016

Filettino. A caccia di tesori d'arte sul monte Cotento


Nella valle dell'Aniene, sul confine tra Lazio ed Abruzzo, posto a ridosso di un versante del monte Cotento, sorge il piccolo paese di Filettino, il più alto comune in territorio laziale a 1092 mt. s.l.m.
E' un piccolo abitato, il cui nucleo più antico, sviluppatosi su di uno sperone affacciato su due valli, si articola in piccole stradine e strette scalinate che serpeggiando si inerpicano fra le pittoresche case del vecchio agglomerato.
Da anni vive una fase di spopolamento interrotto in estate dalla presenza dei villeggianti e di quanti, avendo qui le proprie radici, vi ritornano per le vacanze, bramosi di reimmergersi nell'atmosfera della propria infanzia o ritrovare i ricordi, fra percorsi escursionistici e passeggiate fra torrenti.

Ma Filettino non è solo un luogo in cui poter disintossicarsi dalla frenesia della vita cittadina, è un luogo che conserva molte storie ed un passato da leggere attraverso le memorie materiali superstiti.

Il suo primo insediamento sarebbe da ricercare fra colonie latine qui stanziatesi a presidio dei confini per impedire invasioni da sud-est. Fedeli ai romani, parteciparono alle battaglie delle Forche Caudine, il cui valore sul campo gli valse l'appellativo :" Filectinus, idest fidelis latinus".

Nel 1297, papa Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, lo concedeva in feudo ai membri della propria famiglia, unitamente ai territori di Trevi e Valle Pietra, i quali lo conservarono fino al '600.

Delle sue vicende restano decine di tracce. Fra queste vi è la piccola chiesa suburbana di s. Nicola, vescovo di Mira, che alcune fonti vorrebbero edificata da s.Benedetto.



Raggiungibile seguendo una breve strada poco fuori l'abitato, la cui presenza non è indicata da alcun cartello, il piccolo edificio -nei pressi del cimitero- ad aula unica con soffitto a botte, ospita al suo interno i resti di alcuni cicli di epoca medievale realizzati in diverse fasi.





Le tracce più antiche sarebbero rappresentate dalla decorazione della volta della campata centrale e delle due sezioni murarie ai lati di questa, su cui troverebbero locazione scene tratte dall'Apocalisse.
Qui, sul registro superiore della parete di fronte l'ingresso, campeggia la sezione meglio conservata di tutta la decorazione: un angelo apocalittico è accompagnato da sei apostoli assisi su panche dorate e decorate con gemme. Fra tutti spicca il volto di s.Pietro, recante un'aurea croce gemmata da cui pendono le chiavi del Paradiso. 






Sulla parete di fronte, fa da contraltare una seconda scena in cui un altro angelo con tromba, seguito dai restante sei apostoli campeggiano su fondo blu. Purtroppo questa sezione appare più danneggiata della precedente a causa del distaccamento di intonaco che ne ha provocato la perdita della quasi totalità della parte inferiore.





Restano invece in discrete condizioni conservative gli affreschi posti sulla volta. Qui su un fondo aureo diviso in sezioni da sottili bande blu, amaranto e avorio sono rappresentati i busti di tre angeli abbigliati con pallii riccamente decorati ed incorniciati in medaglioni, circondati a loro volta da piccole immagini contenute in semi-circonferenze al cui interno occhieggiano degli ovali dai tratti antropomorfi deformati dagli sguardi quasi satanici.









Probabilmente le scene superstiti s'inserivano in un ciclo più vasto che occupava anche le restanti campate della piccola chiesa, ma in mancanza di tracce ulteriori questa resta un'ipotesi anche se plausibile.
Altre sezioni pittoriche compaiono nel vano, anche se riconducibili a fasi decorative successive e che occupano ridotte aree, prove tangibili dell'interesse che rivestì questo piccolo luogo di culto per i committenti che dimostrarono una particolare attenzione nei suoi confronti.




La chiesetta di s.Nicola va così ad arricchire il lungo elenco di siti sconosciuti o quasi, di una nazione ricca di luoghi da riscoprire, una lista numerosa che va sempre più ampliandosi...

domenica 21 febbraio 2016

Narni medievale: Santa Maria Impensole


Arroccato su di uno sperone roccioso, sospeso fra la conca ternana e la gola del fiume Nera, lo storico borgo di Narni ha una storia antica le cui tracce, stratificandosi, hanno contribuito a renderlo interessante meta turistica.  
Posto sul tracciato viario della via Flaminia, rappresentava una tappa fondamentale nei percorsi che da Roma portavano all'Adriatico, eleggendolo, già in epoca romana a centro di importanza strategica e commerciale. Ancora oggi è suggestivo giungervi dalla consolare via Flaminia da cui se ne gode un'immagine scenografica.

Il centro storico, in cui spiccano i caratteri d'epoca medievale, è ricco di scorci pittoreschi e siti d'interesse artistico. Addentrandosi fra le stradine del borgo non sarà difficile imbattersi in luoghi da visitare o piazze da fotografare.
Già in prossimità di piazza Garibaldi, uno dei luoghi d'accesso al centro ( un tempo denominata piazza del Lago per un'antica cisterna, conservata nel sottosuolo), sarà possibile raggiungere il duomo, costruito a partire dal 1047 e dedicato a San Giovenale, primo vescovo della città. Diviso in tre navate, conserva tra le tante opere affreschi databili tra il XII-XIII sec. ed una statua lignea del Vecchietta raffigurante S. Antonio abate.

Proseguendo la visita ci si ritroverà nella piazza dei Priori su cui si affaccia il Palazzo del Podestà, oggi sede del Municipio. Una delle sue peculiarità è rappresentata dai bassorilievi del XIII sec. posti sulla facciata principale riproducenti scene antropomorfe e cavalleresche.




Fra le numerose tappe delle passeggiate narnesi  vi è però un luogo dal fascino suggestivo,  uno di quei posti in cui vale la pena soffermarsi, per scoprirne la storia e respirare l'atmosfera di un tempo remoto che aleggia nei sui interni: la chiesa di Santa Maria Impensole. 
La sua facciata, preceduta da un portico ad archi con colonne di spoglio, è articolata in tre portali scolpiti a cui corrispondono le tre navate interne.




Costruita in stile romanico con navate divise da archi ribassati, venne edificata nel 1175 (come riportato da un'iscrizione sull'architrave del portale) dai monaci di Farfa, grazie ad una donazione di tal Bernardo di Rolando. La struttura sorgerebbe sui resti di un precedente edificio, identificato da alcuni come un tempio dedicato al dio Bacco. 
Santa Maria Impensole custodisce al suo interno degli affreschi, riaffiorati durante una campagna di lavori di restauro realizzati negli anni '60 del secolo scorso. 
In quell'occasione, in una nicchia sulla parete della navatella sinistra e su un pilastro della contro-facciata vennero scoperte alcune sezioni affrescate databili a diverse fasi temporali. 
Riquadri raffiguranti la Madonna con il Bambino, sante (tra cui Santa Lucia, protagonista di più riquadri) e santi sono i soggetti di queste decorazioni, figure ieratiche tra cui spiccano tracce di cicli sottostanti e pertanto più antichi.











Poter scoprire resti di ulteriori testimonianze pittoriche affioranti sulla muratura sottostante quella attuale fa comprendere che questo sito ha subito diversi rimaneggiamenti nel corso dei secoli, trasformazioni che hanno contribuito a far perdere memoria di quelle decorazioni ma che hanno aiutato a preservarle consegnandole ai visitatori d'oggi.





Santa Maria Impensole non è un esempio isolato per quanto concerne scoperte di questo genere. Luoghi che fanno parte del panorama urbano delle nostre città, a volte ritenuti quasi privi d'attrattiva e da cui, per puro caso, riemergono segni remoti, a volte si trasformano in oggetto di degna valorizzazione, altre volte vengono dimenticati per assenza di adeguate campagne di valorizzazioni.
Molti sono coloro che mossi da un turismo "mordi e fuggi" si affacciano qui per un rapido sguardo superficiale, smaniosi di procedere verso la tappa successiva del proprio tour che a fine giornata avrà forse riempito la memoria della propria fotocamera, lasciando però ben poca traccia dell'essenza di una paese...






sabato 13 febbraio 2016

Napoli si mostra nel convento di San Domenico





Piazza San Domenico Maggiore è da annoverarsi fra i luoghi più rappresentativi della città di Napoli: ogni suo edificio è testimone di un passato fatto di arte, storie e leggende. Vittorio Gleijeses riteneva che "la storia di San Domenico è anche storia della cultura napoletana".
A dominare l'area sorge l'omonimo complesso monastico, la cui imponente abside conquista lo sguardo, muta spettatrice di secoli di vita partenopea. La sua storia ha inizio con l'arrivo dei primi domenicani in città nel 1231, anno in cui presero possesso della piccola chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa, le cui tracce sono inglobate nell'attuale chiesa. 
L'incremento dei membri della comunità domenicana rese, ben presto, inadatto tale spazio, costringendo ad interventi di ampliamento che ottennero il sostegno economico di Carlo II d'Angiò. 
I lavori, iniziati nel 1283 si protrassero per diversi anni e diedero luogo ad una realtà architettonica completamente differente: i domenicani poterono officiare in una chiesa alta 26,50 m. e lunga 70 m., dotata di apparati degni della committenza angioina.
Nel corso dei secoli, terremoti ed incendi danneggiarono il complesso, obbligando i frati a massicce opere di restauro e riadattamento, frutto spesso dell'influenza delle mode artistiche del momento, come lo stravolgimento in chiave barocca operato sul finire del '600, sotto il priorato di Tommaso Ruffo Di Bagnara che interessò non solo la chiesa ma anche l'area del convento.

Oggi gli spazi del complesso monumentale di San Domenico Maggiore - a cui si ha accesso dall'omonima stradina che si apre su un lato della piazza- ospitano mostre ed eventi che vedono rianimarsi gli ambienti conventuali. E qui, negli ultimi mesi hanno preso vita due mostre, all'apparenza diverse ma congiunte nell'intento di presentare al pubblico aspetti e peculiarità della cultura napoletana. 
Il 13 ottobre 2015 ha preso il via "Magna- Mostra Agroalimentare Napoletana", nata per celebrare il ruolo centrale che l'alimentazione ha sempre rivestito per il popolo campano. 
Le eccellenze dei prodotti tipici, le ricette della tradizione vengono declinate attraverso esposizioni di opere d'arte che spaziano dai dipinti a tema conviviale - con alcune tavole riconducibili alla cerchia di Luca Giordano- passando per i personaggi dei venditori del presepe napoletano del '700 -opera di maestri locali-, per poi coinvolgere il visitatore in presentazioni multimediali, alla scoperta di piatti della tradizione culinaria.










"L'Altro Ottocento. Dipinti della collezione d'arte della Città Metropolitana di Napoli" è l'allestimento che, inaugurato il 23 dicembre scorso, espone, all'interno dell'area del Grande Refettorio del monastero, una rappresentanza di sessantanove opere, provenienti dalla collezione dell'ex Provincia di Napoli. Tale raccolta lega la sua origine alla Società Promotrice di Belle Arti, fondata nel 1861 da artisti ed intellettuali attivi nell'ambito culturale e del collezionismo d'arte. 
La mostra si pone l'obiettivo di far riscoprire pittori dimenticati o poco noti- attivi tra il 1868 e gli anni trenta del novecento- attraverso l'esposizione di tele eterogenee per temi e stili che spaziano dal verismo storico al realismo, passando dalla ritrattistica e la paesaggistica. Il percorso si rende interessante nel presentare spaccati di una città con i suoi abitanti, che sebbene edulcorati dalla lente dell'interpretazione artistica, od alimentati da retorica post-risorgimentale, contribuiscono a rendere testimonianza di un tempo. Devoti raccolti in preghiera su altari barocchi, scorci di una Napoli dai tratti quasi campestri ed episodi storici si susseguono fra ammiccanti contadinelle o anziane dallo sguardo stanco, i cui tratti non possono non far pensare ai tanti volti che si possono incrociare per le strade di questa città, facendo sorridere il visitatore che osserva scene goliardiche, sui volti dei cui protagonisti affiora una mimica teatrale innata nel popolo partenopeo.



Francesco dell'Erba- Le beffe dell'ubriaco- particolare



Fulvio Tessitore- Angolo del Corso Vittorio Emanuele

Raffaele Izzo- Al Palazzo Donn'Anna a Posillipo

Giuseppe Boschetto- I Maldicenti

Giuseppe De Sanctis- Mezza figura in bianco

Antonio Corrado- Dicendo il Rosario

Achille Talarico- Felicità dei campi

Saverio Dell'Abbadessa- Salvator Rosa ragazzo che disegna nel chiostro di S. Teresa

Le mostre saranno attive fino al 28 febbraio 2016, ancora pochi giorni per apprezzare due iniziative volte a celebrare i valori positivi di una città che ha ancora tanto da dare e da dire...

Sala del Capitolo




domenica 7 febbraio 2016

Museo Napoleonico di Roma. La memoria dei Bonaparte


Roma è la città che per eccellenza conserva i ricordi materiali della sua storia millenaria.
Un passato che poggia sui resti dell'impero, del papato e sulle tracce, spesso meno visibili, di quanti hanno avuto la forza e la volontà di lasciare un segno del loro passaggio. A volte questi segni sono affidati a memorie che dominano l'immaginario collettivo, altri sono presenze discrete fra la folla rapida e distratta. Il Museo Napoleonico è uno di quei luoghi.
Inserito nel circuito museale di Roma Capitale, occupa il primo piano di Palazzo Primoli sul lungotevere Marzio. 
Sorto per volontà di Giuseppe e Luigi Primoli, nipoti di quel Giuseppe Bonaparte che fu re di Napoli e sovrano di Spagna, il Museo Napoleonico rappresenta la ricerca collezionistica volta al recupero di oggetti d'arte e cimeli della famiglia Bonaparte, con l'intento di ricostruire la storia di una famiglia con i fatti d'arme, la politica, gli affetti, i ricordi di uomini e donne legati dallo stesso nome e dal desiderio di lasciare traccia indelebile del proprio glorioso passaggio. Una famiglia i cui sforzi tentarono di fare di Roma la seconda capitale dell' Impero Napoleonico. 
Le sale espositive ripercorrono gli anni dall'ascesa al declino della dinastia, seguendo un rigore cronologico che porta il visitatore all'interno della storia, dalla celebrazione delle vittorie di Napoleone attraverso ritratti ufficiali, alle storie che videro protagonisti i suoi fratelli e sorelle.




Sala Primo Impero


La vita della intemperante Paolina, raccontata attraverso i suoi ritratti, gli oggetti quotidiani che le appartennero, si intreccia al ricordo dei giorni della Repubblica Romana e dei francesi a Roma, città annessa all'Impero il 17 marzo 1809. 


Sala Paolina Borghese
P.Marchetti-  Paolina Bonaparte Borghese


Sala I Francesi a Roma


Alla sala del Secondo Impero, tappezzata in damasco rosso, come gli arredi di manifattura francese che la compongono, è affidato il compito di narrare le vicende di Luigi Napoleone Bonaparte, imperatore dei francesi con il nome di Napoleone III. Il suo ritratto e quello della consorte, imperatrice Eugenia, firmati Franz Xaver Winterhalter,  dominano maestosi la sala, soggiogando il visitatore.


Sala Secondo Impero


Sala Carlotta e Zenaide


Sala Giuseppe e Carolina Bonaparte


Sala Luciano Bonaparte


Agli aspetti ufficiali susseguono le storie più intime di Zenaide e Carlotta, figlie di Giuseppe Bonaparte, di Luciano, di Girolamo e Matilde Bonaparte-Primoli, per concludere con le vicende degli ultimi discendenti vissuti a Roma negli anni in cui la città vedeva compiersi nuovi cambiamenti a cavallo dell'annessione al Regno d'Italia, una città che vede modificarsi i suoi ritmi, inizia a vivere più velocemente, dove ai maestosi cavalli bianchi vengono a sostituirsi modernissimi bicicli....
Il Museo Napoleonico costituisce una valida offerta culturale volta a valorizzare percorsi meno reclamizzati ma non per questo meno interessanti, una risorsa su cui puntare per un'ulteriore promozione turistica del territorio.


Sala Re di Roma
Anonimo- Busto di Napoleone Bonaparte