sabato 27 gennaio 2018

Il Sito Reale di Carditello. La Delizia dei Borbone






"...qui il re in preferenza di ogni altro luogo,si ritira ne' pochi momenti,ch'ei ruba al proprio sollievo,per deliziare lo spirito..."

Giovan Battista Chiarini




   Esistono dei vincoli che non si infrangono mai, legami che connettono indissolubilmente delle realtà alla storia che li ha prodotti, a coloro che hanno contribuito a renderle possibili denotandone l'identità stessa.
Fin dal 1744, la tenuta di Carditello, posta nel comune di San Tammaro e stretta tra Capua e la bassa piana del Volturno, è stata legata alla volontà dei sovrani borbonici, che dopo la battaglia di Velletri (1744) riportarono il meridione a riacquistare la dignità di regno dopo un periodo di vicereame ed abbandono durato quasi due secoli. Carlo di Borbone, sovrano del Regno di Napoli dal 1735 al 1759,  risoluto ed illuminato, ebbe a governare su un territorio vasto ed arretrato, privato, com'era stato durante gli anni dei vice-regni, di guide politiche centrali capaci di strutturarne la crescita economica ed amministrativa. Impegnato nel recupero urbanistico di Napoli e nell'attuazione di riforme necessarie a fare del Regno una realtà al passo con gli altri paesi europei, Carlo -come poi il suo successore Ferdinando IV- incentrò parte dei suoi interventi nell'attuazione di programmi di sviluppo economico ed infrastrutturale, che sebbene non andassero ad investire la totalità dell'aree meridionali poste sotto il suo dominio, contribuirono a concretizzare situazioni di vera e propria avanguardia.
E' il caso appunto dei Siti Reali, luoghi in cui le esigenze residenziali e di svago del re, e della sua corte, si accordarono ad esperimenti imprenditoriali innovatori per l'epoca e per il contesto territoriale. In tale ottica sorsero ex novo, o riadattati, ben ventitré siti dislocati nel territorio campano, volti ad ottimizzare sistemi produttivi specifici in base alle caratteristiche locali ed ambientali, a cui si affiancavano iniziative infrastrutturali con la creazione di nuovi percorsi viari per facilitare trasporti e comunicazioni. 
Fra questi, per citarne alcuni, si ricordano la Casina Vanvitelliana sul lago Fusaro (vedi https://ilcappellobohemien.blogspot.it/2016/04/la-casina-vanvitelliana-la-perla-del.html), il Real Sito di Persano (Salerno), San Leucio (Caserta) e la Real Delizia di Carditello a San Tammaro (Caserta). 
Il sito di Carditello venne scelto da Carlo di Borbone al fine di avviare un'attività di zootecnia volta all'allevamento equino a cui si affiancavano produzioni agricole e casearie. L'aspetto imprenditoriale si univa all'uso che il sovrano faceva del sito come riserva di caccia, attività a cui i Borbone di Napoli si dedicarono sempre con molta passione. 
Nel 1759 Carlo di Borbone lasciava Napoli per essere investito della corona del Regno di Spagna, trasmettendo il trono napoletano al figlio Ferdinando IV, il quale perseguì l'interesse paterno verso le attività venatorie e produttive avviate nei territori dei Siti Reali, unendovi nuovi interventi strutturali ed economici.
Sebbene inizialmente Carditello si connotasse prevalentemente come masseria ed allevamento, l'amenità del luogo e la ricchezza di selvaggina che abbondava nei boschi circostanti, spinsero Ferdinando IV a realizzarvi un alloggio in cui dimorarvi periodicamente. Nell'anno 1787 presero il via i lavori per la realizzazione della palazzina Reale di Carditello che vennero affidati all'architetto Carlo Collecini, già allievo e collaboratore di Carlo Vanvitelli. Il progetto avrebbe dato forma, cinque anni dopo, ad edifici il cui perno centrale sarebbe stato il nucleo degli appartamenti del re e sui cui lati e sul retro andavano sviluppandosi gli ambienti ad uso rurale, quasi a voler sottolineare un connubio tra contesto monarchico e realtà bucolica. 
Dinanzi la facciata principale, in asse con uno dei tracciati viari che conducono al Real Sito, l'architetto realizzò un campo dalla forma ellittica -richiamo ai circhi romani dove si praticavano corse di cavalli- sul cui tracciato, ai tempi dei Borbone, nel giorno dell'Ascensione, era consuetudine offrire lo spettacolo di una corsa equina cosiddetta "dei barbari".


Decorazione scultorea su uno degli obelischi dell'ellisse di Carditello


La residenza di caccia del re di Napoli necessitava anche di apparati decorativi ed allestimenti degni del sovrano e della famiglia reale: a tale scopo venne ingaggiato il pittore prussiano Jakob Philipp Hackert (1712-1768), giunto a Napoli nel 1770 ed introdotto alla corte grazie ai suoi meriti d'artista ed all'appoggio del suo mecenate sir William Hamilton, ambasciatore britannico presso il sovrano napoletano. Pittore stimato per le sue opere a tema paesaggistico, per la perizia nel realizzare gouache, e l'innegabile buon gusto, il prussiano seppe conquistarsi la piena fiducia del re che gli affidò commissioni anche per il sito di San Leucio. 
Come responsabile dell'allestimento decorativo della residenza reale di Carditello, Hackert coordinò le opere di artisti quali Carlo Beccalli, Giuseppe Cammarano, Fedele Fischetti e Johann Tischbein, a cui andavano ad aggiungersi le scelte dei maestri per la realizzazione degli arredi e dei complementi. I lavori si conclusero nel 1792 con il completamento degli arredi e della pinacoteca. Molte di queste opere sono però andate irrimediabilmente perdute o traslate in altri siti, subendo spesso stravolgimenti dettati da eventi storici a partire dalla rivoluzione del 1799 fino all'incuria e i depredamenti perpetrati nel corso del XX secolo.





Oggi nelle camere private, nelle sale e nella chiesa della palazzina reale, restano gli affreschi che vennero realizzati sotto la direzione dell'Hackert, come ricordo del gusto e dello stile che fu alla base dei decori degli ambienti dell'appartamento reale posto al primo piano. Stretto è il legame tra il territorio di Carditello e la scelta dei soggetti degli affreschi conservati in alcuni ambienti: paesaggi rurali, panorami campestri sono i temi delle scene presenti nella "Sala dei dipinti agresti" adibita a libreria del sovrano, dove, racchiuse da finte cornici compaiono scene paesaggistiche che richiamano all'area circostante la tenuta. Nell'ambiente il pittore Domenico Chelli allestì la decorazione a finte architetture del soffitto: creando l'illusione prospettica di quattro nicchie angolari con spicchi di cupola cassettonata, l'artista allestì una finta loggia, alternata con pilastri e cariatidi, fra i cui intercolumni, vivaci putti giocano fra loro, conferendo dinamicità alla scena.


Sala dei dipinti agresti

Sala dei dipinti agresti. Volta

Il tema bucolico è un leitmotiv ricorrente a Carditello, riproposto anche per la decorazione della camera del re, dove, sebbene compromesse da atti di vandalismo, due scene georgiche occupano le pareti della stanza. Realizzate da Giuseppe Cammarano, esse rappresentano "La mietitura a Carditello" e "La famiglia Reale alla vendemmia di Carditello": in questi affreschi il pittore rappresentò i membri della famiglia reale come contadini, abbigliati in maniera semplice e lontani da quelle pose solenni dei ritratti ufficiali delle Regge di Napoli e Caserta. Questa celebrazione della natura è completata dall'esecuzione dell'affresco della Primavera, posto sul soffitto della camera: qui leggera su una nube ed accompagnata da un amorino che le porge un canestro carico di fiori, la stagione della rinascita dispensa sulla terra le sue quintessenze.


La camera di Ferdinando IV

"La Vendemmia a Carditello"

"La mietitura a Carditello" (part.)

"La mietitura a Carditello" (part.)

"La Primavera"

E' innegabile osservare che, le opere superstiti nel sito di Carditello denunciano una chiara inclinazione dell'Hackert, e degli artisti che le realizzarono, verso un gusto dal sapore neoclassico e ricercato, dove l'equilibrio delle composizioni, i motivi stilistici, la delicatezza delle rese pittoriche mirano a comporre l'immagine di un contesto ideale che rielabora ed enfatizza gli ideali arcaici.
Il programma di celebrazione della vita agreste adottato a Carditello trova ulteriore riscontro nella decorazione allestita nello "Stanzino di Diana" che precede la "Sala dei dipinti agresti", dove, in riquadri realizzati a chiaroscuro, si svolgono episodi relativi al mito della dea protettrice delle selve e della caccia, realizzati ancora da Domenico Chelli.


"Sacrificio a Diana"

"Diana e Giunone"

"Diana e Apollo"

"Apollo e Dafne"

"Trionfo di Diana"
Il punto focale di tutta la decorazione pittorica di Carditello resta però la celebrazione della casata dei Borbone, elevati ai fasti della storia come sovrani illuminati e valenti nella gestione del regno. Tale glorificazione trova ampio stazio nella Galleria, ambiente cardine dell'edificio, che sebbene di dimensioni sicuramente ridotte, se paragonate ai grandi spazi creati nella vicina Reggia di Caserta,  trasmette, in uno spazio più concentrato,  la solennità e la grandiosità del messaggio che si proponeva di comunicare.



Il soffitto della Galleria, la cui decorazione venne affidata al pittore di corte Fedele Fischetti, propone il tema dell' "Apoteosi della dinastia dei Borbone", fra simbolismi e riferimenti massonici.
Osservando l'insieme, purtroppo mutilo di alcune sezioni, si comprende che la scena, composta di almeno cinque gruppi di figure, si pone il fine di raccontare le vicende della casata e dei suoi esponenti più illustri. Racchiuse in una calotta che richiama ad un arcobaleno ideale su cui si riconoscono le costellazioni dei pesci, del leone, dei gemelli e del sagittario -quest'ultimo posto nella posizione più elevata, poiché corrispondente alla costellazione sotto cui nacquero Enrico IV di Borbone, capostipite della casata, nonché Carlo e Ferdinando IV- i cinque gruppi appaiono legati l'uno all'altro nello svolgersi della narrazione.  
A sinistra è possibile riconoscere un gruppo composto da sei figure maschili: un putto alato porge un vassoio al primo sovrano che vi depone una corona. Si tratta di Enrico III di Valois, ultimo esponente del suo casato a sedere sul trono di Francia e deceduto a seguito di un attentato. Dopo la sua morte il regno passò ad Enrico IV di Borbone e di Navarra, rappresentato in posizione opposta al Valois, nell'atto di indicare la scena del proprio trionfo. Fra i due re vi sono tre sovrani, qui rappresentati senza corona: Ferdinando IV,  allora regnate e ritratto con un libro, Carlo III di Borbone, assiso, colto con lo sguardo rivolto al figlio ed infine Filippo V di Borbone, capostipite del ramo spagnolo.
Nel registro inferiore, una figura femminile, vestita alla maniera classica ed ammantata di ermellino, indica con la destra i sovrani e la scena dell'Apoteosi. Si tratta dell'unico personaggio che rivolge il proprio sguardo in basso, verso l'osservatore, mentre appare circondata da oggetti quali il progetto di un tempio ideale, la squadra, i simboli delle arti e delle scienze, nonché da frutti fra cui  il melograno simbolo massonico dell'unità familiare. La concentrazione di tali oggetti intorno ad un ritratto che è stato ipotizzato possa essere quello della regina Maria Carolina, consorte di Ferdinando IV non sarebbe casuale ma giustificata dal fatto che la regina fu fervida sostenitrice dei gruppi massonici, almeno fino alla rivoluzione francese del 1789. La massoneria era stata apertamente avversata ai tempi del sovrano Carlo di Borbone, il quale ne promosse la messa al bando con un editto reale il due luglio del 1751, con l'arrivo, però, dell'arciduchessa Maria Carolina nel 1768, la rigidità della corona nei confronti delle Logge andò mitigandosi. Figlia di Maria Teresa d'Austria e sorella dell'imperatore Giuseppe II, cresciuta in un contesto culturalmente fervido ed incline all'assolutismo illuminato, la giovane regina si dimostrò inizialmente incline a patrocinare la massoneria napoletana che contava una Gran Loggia Nazionale, nata il 23 agosto 1774, nonché altre quattro fratellanze minori nella sola capitale; alcuni degli artisti che prestarono la propria opera a Carditello erano essi stessi frammassoni, notizie queste che aiutano a meglio comprendere la presenza di simboli massonici in un'opera che celebrava il potere della casata.






Seguendo la corrispondenza di gesti dalla figura femminile ad Enrico di Navarra, s'incontra la scena in cui il sovrano è rapito dall'Apoteosi, una figura femminile abbigliata alla maniera classica, che lo conduce fino alla Gloria e all'Immortalità, rappresentate da una figura maschile alata con corona e lancia, ed una figura femminile assisa, fermata nell'atto di porgere una corona ad Enrico, mentre ai loro piedi, fra putti festanti, una fenice rinasce dalle proprie ceneri.






La personificazione della Giustizia, rappresentata da una donna che reca la bilancia ed il fascio romano, si rivolge ad Enrico in atto celebrativo, accanto a lei la temperanza, un cigno e un leone, simboli di forza e bellezza. Purtroppo la scena è andata in parte perduta e non permette di completare il racconto complessivo, restituendo però, per quando si è conservato, la simbologia e la metafora dell'insieme.

La Palazzina Reale, oltre diversi altri ambienti, ospitava anche una cappella dedicata all'Ascensione di Cristo, articolata su due piani, che permetteva al re e alla sua famiglia di assistere alle celebrazioni usufruendo di un ambiente separato. Le tribune superiori e gli spicchi della volta vennero affrescati da Carlo Brunelli che realizzò anche l'Eterno Padre della cupola. Nelle due tribune vennero dipinte a chiaro scuro la "Natività" e la "Fuga in Egitto", mentre sulla superficie dei peducci della cupola vennero dipinte la "Giustizia", la "Misericordia" e la "Sapienza".


Tribuna della Cappella di Carditello



Gli eventi storici quali la rivoluzione partenopea del 1799, l'avvento dei Napoleonidi nel 1806 ed infine l'unità d'Italia costrinsero più volte i Borbone di Napoli ad abbandonare queste terre ed a rifugiarsi altrove, portando con loro le opere di maggior pregio delle loro residenze. Con l'arrivo dei Savoia Carditello cadde in un lento abbandono fatto di sporadiche frequentazioni da parte della corte sabauda.
Nel corso dei decenni il sito fu oggetto di alterne vicende fatte di razzie, recuperi, abbandoni ed anche lottizzazioni a favore dei reduci del primo conflitto mondiale. Occupata dalle truppe alleate durante la seconda guerra mondiale, il Real Sito venne affidato alla fine del conflitto  al Consorzio di Bonifica del Basso Volturno, ma il suo declino non si arrestò. Furono anni di deriva, pignoramenti e vere e proprie razzie che lasciarono sul sito segni indelebili, anni lunghi durante i quali non si scorse nessun ipotesi fattibile per il recupero di Carditello. 
Solo nel 2013 il sito viene acquisito finalmente dallo Stato permettendo alle campagne di restauro, lunghe e complesse, di aver inizio. A Carditello oggi appaiono recuperati parte degli ambienti della Palazzina Reale ed alcuni spazi ad uso rurale.
Il Real Sito può così tornare a risorgere, seppur lentamente, esattamente come quella fenice dipinta sulla volta della Galleria che rinasce dalle proprie ceneri, simbolo di una memoria storia ed artistica che non può esaurirsi...





INFORMAZIONI
La Reale Delizia di Carditello si trova in località San Tammaro (Ce) ed è raggiungibile con mezzi propri percorrendo la strada provinciale 229. Dista circa 14 km da Caserta e 27 km da Napoli.
Le visite sono effettuate dai volontari dell'associazione Agenda 21 che ne curano le aperture.


Bibliografia
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               Locri, 2010.
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Massafra A. (a cura di)- Il mezzogiorno preunitario. Economia, società e istituzioni- Bari, 1988.
Ventrella E., Ventrella R.- Reali delizie. Itinerario storico-artistico in Campania Felix- Capodrise, 2013.
Verdile N.- La Reggia di Carditello. Tre secoli di fasti e feste, furti ed aste, angeli e redenzioni- Capodrise, 2014.