giovedì 1 marzo 2018

L'Abbazia di Viboldone. L'incontro tra arte fiorentina ed artisti lombardi






   Pochi chilometri a sud del comune di Milano, a San Giuliano Milanese, sorge l'abbazia di Viboldone. Vi si deve giungere presto al mattino, quando sui mattoni bruni della facciata battono i primi raggi del sole e una bassa nebbia avvolge l'abbazia ed il suo campanile, illudendo il visitatore di essere giunto in un ambiente surreale, sospeso nel tempo.
La primitiva chiesa di San Pietro fu fondata nel 1176, nello stesso anno in cui le truppe della Lega dei comuni lombardi sconfissero l'imperatore Federico Barbarossa, che appena quattordici anni prima, nel 1162, aveva raso al suolo Milano, lasciando la città ed i propri abitanti nel totale disorientamento politico e spirituale. Figura cardine che contribuì al superamento di tale fase fu il vescovo Galdino che probabilmente si fece sostenitore della nascita delle prime comunità spirituali, formate da uomini e donne, che andarono diffondendosi nel territorio: fra queste assunse particolare importanza la confraternita degli Umiliati, a cui si deve la fondazione dell'abbazia di Viboldone.
La  primitiva comunità degli Umiliati, stanziatasi alle porte di Milano, era composta da uomini e donne, chierici, laici ed interi nuclei familiari, uniti nell'intento di perseguire i dettami di una vita cristiana basata  sulla preghiera ed il lavoro, che, nel caso di Viboldone, in considerazione delle poche fonti tramandate che trattano l'argomento, si concretizzava principalmente nell'attività laniera.
La prima fase costruttiva che investì la fabbrica della chiesa di San Pietro, nel 1176, risentì degli schemi cistercensi, già utilizzati nella vicina abbazia di Chiaravalle -dove si perseguiva il sistema edilizio degli impianti "a blocchi"- contribuendo a sancire un dialogo stilistico e culturale tra le due abbazie.
La prima fase costruttiva subì però una battuta d'arresto per la sospensione del cantiere a seguito dell'innalzamento dell'abside e delle due campate ad essa attigue.
Intanto la rinomanza e la solidità economica raggiunta dagli Umiliati, permisero all'ordine di edificare a Milano, nel 1200,  una chiesa con annesso monastero, nei pressi della pusterla Beatrice: la perduta Santa Maria di Brera -distrutta nel XIX sec.- sorta sui terreni donati da tal Algiso il Guercio.
Molti sono i punti di tangenza che legarono la chiesa di Brera all'abbazia di Viboldone, sia comuni scelte artistiche sia convergenti committenze.   A seguito di una pausa, la fabbrica di Viboldone riprese nella seconda metà del XIII secolo, proseguendo fino al 1348, anno in cui furono completati la facciata ed il campanile. Una targa marmorea, posta sulla facciata, accanto all'oculo, contribuisce a tramandare la data della fine dei lavori nonché il nome del priore sotto cui si conclusero.




Nella struttura di Viboldone sono innegabili le simultaneità tra elementi romanici e tratti spiccatamente gotici, a testimonianza dello svolgersi del cantiere attraverso decenni di cambiamento: la facciata, con tetto a capanna, è caratterizzata da un apparato murario di mattoni in cotto a vista che si avvicenda alla pietra bianca delle colonnine delle bifore "a vento", della cornice marmorea dell'oculo centrale e, soprattutto del marmo bianco della decorazione del portale.
Qui la Madonna con il Bambino, circondata dai santi Ambrogio e Giovanni Oldrati da Meda, accoglie il visitatore insieme alle due statue dei santi Pietro e Paolo, presenti nelle nicchie laterali.
I parallelismi tra la facciata della chiesa di Brera, realizzata da Giovanni di Balduccio da Pisa e quella di Viboldone -eseguita forse da un suo allievo- fanno ritenere che ci fosse unità d'intenti sia per la scelta degli artisti che per i progetti stilistici perseguiti nei cantieri degli Umiliati.









Un contributo fondamentale alla crescita del patrimonio artistico di Viboldone fu data dal suo priore Guglielmo Villa, il quale detenne la guida della prepositura Umiliata per circa trentadue anni, ed alla cui commissione si devono non solo i lavori della facciata ma anche il nucleo principale degli affreschi interni.
Uomo di cultura non comune, vicino ai circoli culturali più vivaci dell'epoca - fu autore di un commentario alla regola benedettina "Zaphirus de expositione Regulae Beati Benedicti", andato perduto- Guglielmo trasformò la chiesa di San Pietro in un luogo espressione della più vivace cultura artistica del tempo, chiamando presso il cantiere alle porte di Milano i più validi artisti lombardi e toscani. In un contesto storico in cui la signoria dei Visconti attirava a Milano i migliori artisti che la penisola poteva proporre, facendosi fautrice di un'arte di matrice laica e cittadina, Viboldone si ritagliava un apprezzabile spazio nel panorama culturale dell'epoca, seguendo scelte stilistiche rilevanti che aprirono il periodo d'oro dell'arte umiliata. Varcata la soglia dell'antico portone, si accede ad una chiesa divisa in tre navate, dove arcate ogivali, sorrette da pilastri e capitelli scantonati in cotto, ritmano lo spazio interno indirizzando lo sguardo verso le scene che occupano le due prime campate. I cicli di affreschi che vi si dispiegano si concentrano prevalentemente sulle storie della Vergine e di Cristo: la presenza della componente toscana sul territorio lombardo, e probabilmente a Viboldone, rappresenta un incoraggiamento per le maestranze locali qui impiegate, concorrendo a creare un'individualità più matura e raffinata negli artisti autoctoni.  
La Madonna in trono fra santi della prima campata -opera per la quale si possiede la certa datazione del 1349 riportata da un cartiglio posto alla base della scena- raffigura la vergine con il bambino assisa in trono e circondata da san Michele, san Giovanni Battista, san Berdardo di Chiaravalle e sant'Ambrogio. La scena presenta un ulteriore personaggio, in basso a sinistra: si tratta probabilmente del committente che, rappresentato in ginocchio, viene presentato da san Michele alla Madonna. Sull'identità di questo personaggio si è molto dibattuto fra coloro che vi hanno voluto riconoscere la figura di Guglielmo Villa piuttosto che la figura di Andrea Visconti. 
A ben guardare, questa parte della scena può aver subito delle modifiche e correzioni: infatti, ai piedi del san Michele è possibile ravvisare quella che sembra essere la coda di un drago, che identificherebbe invece san Giorgio che potrebbe essere stato uno dei personaggi protagonisti, trasformato in un secondo momento unitamente all'identità del devoto. Basti ricordare che Guglielmo Villa era sgradito alla corte viscontea che alla sua morte può aver disposto la variazione in una sorta di damnatio memoriae. La composizione della scena votiva fa da pendant all'analogo tema proposto nella lunetta della facciata, ribadendo nello stile della scena, nella ricercatezza plastica del trono, un netto richiamo alla pittura fiorentina, assimilata da un pittore che concordemente viene ritenuto di provenienza lombarda e che dimostra vicinanza allo stile di Giovanni da Milano. 







Di fronte alla Maestà grandeggia la scena del Giudizio Universale, dove il Cristo Giudice grandeggia in una mandorla sorretta da angeli che recano i simboli della Passione. L'attenzione verso alcuni particolari come la ferita sul costato, visibile attraverso uno strappo sulla tunica del Salvatore, aiuta a comprendere la maturità e la preparazione dell'artista che qui operò. Le schiere ordinate di beati con i visi di un rosa delicato contrastano con la confusione delle figurine dei dannati, privi di tratti fisiognomici e caratterizzati da colori accesi e stridenti: la ripartizione della scena sembra chiaramente richiamarsi alla sua analoga presente a Padova, nella Cappella degli Scrovegni, dove Giotto orchestrò con sapiente grandiosità uno dei temi fondamentali della cristianità. Lo stile, la consapevolezza che l'artista dimostra nei confronti dell'episodio giottesco, hanno fatto propendere la critica per un'attribuzione, ormai concorde, a Giusto de' Menabuoi a cui si dovrebbe anche l'esecuzione delle scene laterali. Sulle pareti contigue al Giudizio, articolate in due registri sovrapposti, si aprono due processioni: quella delle donne guidate dalla Vergine, posta in una mandorla ed inginocchiata adorante verso il figlio, e quella che vede san Giovanni Battista guidare, in posizione speculare rispetto alla Madonna, il corteo formato dai santi. 
In entrambe le sezioni però, le scene che rappresentano gli episodi più interessanti sono rappresentate dai dottori della chiesa, qui ritratti nello spazio interno dei propri studi, dove scrupolosamente l'artista incede nella cura dei particolari delle scaffalature ricolme di libri, degli scrittoi, leggii  e mobilia intarsiata, oltre che nella riproposta gestualità quotidiana e realistica espressa dai personaggi presenti.









Nella quarta campata, il sistema narrativo si articola intorno alla vita di Cristo: sulla volta, quadripartita si susseguono, l'Annunciazione, l'Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio ed il Battesimo di Gesù. Nelle prime tre scene, inquadrate in ambienti architettonici dal chiaro richiamo trecentesco, gli spazi si dilatano a seguire la curva della volta, offrendo all'osservatore una prospettiva falsata. Il pittore qui attivo, riconosciuto come artista di origine lombarda, appare meno scrupoloso in queste scene, specialmente se confrontate con gli episodi presenti sulle pareti laterali e la toccante Crocefissione. 
La parete di destra svolge il suo racconto partendo dall'alto con l'Ultima Cena, nel registro mediano la Preghiera nell'Orto dei Getsemani e la Cattura di Cristo, dove Gesù, al centro della scena, circondato dai soldati, è stato appena baciato da Giuda. La composizione è affollata ed altamente descrittiva, non solo per le azioni in cui vengono fermati i singoli personaggi, ma per il pathos espresso dai volti. Nel terzo registro, accanto alla scena della Flagellazione, la decorazione della parete si conclude con la Salita al Calvario in cui prevalente diventa la presenza dei soldati: evidente è qui il richiamo ai costumi dell'epoca, dove le guardie abbigliate con elmi, calzature a punta, spadini e piastre antibraccio, restituiscono l'immagine di un'epoca. La presenza dell'elemento contemporaneo è riproposta anche per la scena centrale della Crocefissione, articolata in gruppi -il Cristo in Croce, le donne dolenti, san Giovanni, la Maddalena, i soldati- fra cui si nota la fisiognomica del centurione, abbigliato, come nella scena precedente, secondo la moda del tempo. Le storie di Cristo vennero realizzate in un periodo successivo a quelli dell'ultima campata, da un artista che, sebbene consapevole della propria tradizione lombarda, seppe guardare alle scene precedentemente qui realizzate da Giusto de' Menabuoi specialmente per quanto concerne l'andamento narrativo.


Quarta campata. Volta

Quarta campata. Parete di destra

Quarta campata. Parete di sinistra

Quarta campata. Crocefissione
                                                                       
Quarta campata. Crocefissione (part.)

Lasciata la quarta campata e dirigendosi verso l'abside, sulla volta si osserva una sinopia -disegno preparatorio all'affresco- raffigurante una Trinità, datata tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo. Tre figure assise e benedicenti, recano nella mono destra un calice: nel volto più maturo con barba del personaggio centrale vi si riconosce Dio Padre, mentre ai suoi lati, volti simili ma dalle fattezze più giovanili, si ritrovano Cristo e lo Spirito Santo. Quattro angeli alle loro spalle reggono una cortina, mentre ai lati due figure in parte perdute, che rappresentavano Abramo e Sara, inginocchiati, rivolgono la propria devozione alla Trinità. Per la sua posizione, la scena sarebbe stata visibile esclusivamente al celebrante ed è probabile che s'inserisse in un progetto narrativo unitario di cui però si sono perse ulteriori tracce.

Sinopia absidale

Fra gli affreschi superstiti di Viboldone, fra alcune scene compromesse di cui resta scarsa testimonianza, si conserva il ciclo realizzato nella seconda campata destra, incentrata sulla parabola delle Vergini sagge e le Vergini stolte. Il tema non era molto diffuso in area lombarda in epoca medievale, sancendo già per questo motivo un'influenza esterna. La vicenda non è svolta in maniera narrativa ma l'artista si è limitato a ritrarre sugli intradossi degli archi immagini femminili a mezzo busto ( Vergini sagge) ed a figura intera (Vergini stolte), mentre sulla crociera della campata il pittore realizzò i simboli degli evangelisti. 








Accanto agli affreschi della seconda campata, sempre nella navata destra resta una scena, mutila, di una Madonna in trono fra santi riconosciuta come opera giovanile di Michelino da Besozzo e realizzata sul finire del XIV secolo. La figura della Vergine è quasi totalmente andata perduta, mentre restano le cuspidi ornate del suo trono che contribuiscono a rimarcare la consapevolezza dell'artista per le esperienze maturate nel contesto cittadino milanese. Dei quattro santi ancora individuabili nella scena, la figura meglio conservata è quella di san Lorenzo posta sulla sinistra. Abbigliato con la dalmatica e recante la graticola, simbolo del suo martirio, Lorenzo in posa di ossequioso rispetto, presenta alla Vergine il committente devoto. 
Una terza Madonna in Trono decora la corrispondente campata a sinistra, dove ancora una volta si è individuato un forte richiamo all'arte di Giusto de' Menabuoi, che se non ne fu materialmente l'autore ebbe modo di influenzare in maniera determinante l'artista che vi lavorò.




Nel 1571, in piena Controriforma, l'ordine degli Umiliati, che aveva permeato di sé il sito di Viboldone, venne sciolto per decisione di San Carlo Borromeo. L'abbazia veniva affidata agli Olivetani che intervennero sulla struttura medievale ed introdussero nuovi elementi decorativi nelle due navate laterali, ma appena due secoli dopo, il 12 aprile 1773, l'imperatrice Maria Teresa d'Austria  sanciva l'epilogo della badia che per 160 anni restò nel più completo abbandono.
Solo nel 1941 il monastero rivide l'insediamento di una comunità di religiose benedettine.
Le vicende altalenanti vissute dall'ordine degli Umiliati e le diverse fasi di cui fu oggetto l'abbazia di Viboldone hanno lasciato traccia sul sito e nella sua storia, contribuendo a sancirne scelte ed orientamenti, ma dimostrando sempre il pieno inserimento nei contesti delle diverse epoche che comportarono scelte consapevoli e spesso di alto valore artistico, come le testimonianze di epoca medievale attestano indiscutibilmente.





INFORMAZIONI

Il monastero di Viboldone si trova nel comune di San Giuliano Milanese, via dell'Abbazia 7.
E' raggiungibile in treno scendendo alla locale stazione di San Giuliano poi proseguendo a piedi per circa un chilometro; con il servizio metropolitano (linea gialla); con gli autobus delle linee ATM 121, direzione San Giuliano.
L'ingresso è gratuito ma si sconsiglia la visita durante la celebrazione delle messe. La chiesa è aperta dalle 9:30/12:30- 14:30/18:30.


BIBLIOGRAFIA
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P. Toesca- La pittura e la miniatura in Lombardia- Milano, 1912.
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